mercoledì 23 dicembre 2009
RECENSIONE OLTRE L'INNOCENZA (Beyond Innocence) di Emma Holly
domenica 22 novembre 2009
RECENSIONE NEW MOON (2009)
Bella Swan compie diciotto anni ma quello che per ogni giovane è un traguardo importante, per lei diventa un passo fondamentale verso il raggiungimento dello scopo della sua vita: diventare la compagna del suo amato Edward, per sempre. Ma Edward che pure la ama appassionatamente non vuole privarla della mortalità, come non desidera che ella perda l’anima, divenendo una dannata come lui. Per questo la lascia brutalmente, convincendola che non la vuole più ed invitandola a proseguire come se non l’avesse mai conosciuto. Bella disperata ed incredula, ma sotto sotto convinta di meritarsi l’abbandono perché non è abbastanza per uno come Edward, viene travolta dalla depressione e comincia a compiere diversi gesti autolesionistici. Ad aiutarla a riprendersi ed uscire da quel tunnel buio c’è il vecchio amico Jacob Black; oramai anche lui è cresciuto, ha sedici anni e vede Bella come ben più che un’amica. Lei si appoggia a lui per conforto ed aiuto, lui spera che la sua gratitudine si trasformi in qualcosa di maggiormente profondo. Però il fantasma di Edward è tra loro, costante. Inoltre Bella scopre che Jacob è divenuto un licantropo, ovvero il peggior nemico dei vampiri e sa che sarà presto costretta ad effettuare una scelta tra le due razze che assolutamente non vuole compiere dato che preferirebbe mantenere le sue amicizie ed i pur precari equilibri esistenti inalterati. Non sarà possibile, sia perché la vampira Victoria le dà la caccia per vendicarsi della morte del suo compagno causata dai Cullen, sia perché Bella volerà in Italia per impedire ad Edward, che la crede morta a causa di un equivoco, di suscitare la collera degli antichissimi vampiri Volturi per essere da questi giustiziato.
Inizia proprio con una bellissima ripresa della luna, New Moon appunto, che sembra promettere bene per questa seconda puntata cinematografica della saga di Twilight, ma dopo nemmeno quindici minuti, cioè quando Edward lascia Bella già iniziano i primi seri dubbi, che si consolidano dopo la prima ora per divenire certezza nel momento in cui quella che doveva essere la parte clou del film, ovvero l’incontro-scontro coi Volturi quando Edward persegue il suicidio per via indiretta, viene sprecata in pochi minuti. Sembrava che il pur bravo Chris Weitz, già regista rivelazione dell’ottimo About a boy, volesse imprimere la sua impronta alla pellicola con un impianto più classico, evidente nelle scenografie, nei costumi ed anche nelle inquadrature, più campi lunghi e medi, pochi movimenti di macchina, meno “alternativi” ed eclettici di quelli della Hardwicke che stava letteralmente incollata al viso ed al corpo dei suoi attori, come anche nella scelta dei colori quasi naturali, in confronto a quelli desaturati e molto efficaci di Twilight. Peccato che oltre questo non sia andato, abbandonando completamente a sé stessi sceneggiatura ed attori e confidando solo negli effetti speciali che, notevolmente migliorati grazie al grosso budget, sono di fatto la pagina migliore del film. Se in Twilight Kristen Stewart era brava ed in parte, qui sembra solo dover timbrare il cartellino e sopperisce alla mancanza di direzione del regista e di convinzione da parte sua con una serie infinita ed insopportabile di smorfie, come nemmeno Meg Ryan e Keira Knitley insieme avrebbero potuto fare. Imbarazzante il pompaggio con gli anabolizzanti del diciottenne Taylor Lautner, che interpreta volenterosamente Jacob, come se i muscoli gonfi dei suoi pettorali continuamente ed inutilmente esibiti potessero da soli sostituirsi ad una trama debole e ad una totale mancanza di intensità. Infatti nonostante i continui e rimarcati riferimenti e parallelismi con Romeo e Giulietta, qui della complessità del Bardo non vi è nulla, anzi, pare tutti ricerchino la semplificazione e la dissoluzione di un significato che superi la mera immagine patinata. Nelle urla di Bella non c’è il dolore evocato, nel suo viso nessuna traccia di quella sofferenza che la depressione dovrebbe portare con sé, l’amore tanto sbandierato per due ore non compare se non fugacemente. Scomparsi tutti i simbolismi e le possibili metafore legati al sangue, al vampirismo, ai licantropi come anche ogni componente anche vagamente sensuale. Davanti agli occhi scorrono scene levigate come in un videoclip pieno di modelli, dove ci sono tante comparse e nessun personaggio, se non nella affascinante ma troppo corta sequenza dei Volturi, dove veramente il film potrebbe decollare e tristemente non lo fa. Il britannico Michael Sheen, attore di razza come Aro e la giovane ma già veterana Dakota Fanning nei panni di Jane sono efficaci ed illuminano con forza, seppur brevemente, un film invece opaco, in una sequenza potente che avrebbe dovuto rappresentare il cuore della storia: la disponibilità al sacrifico assoluto per la salvezza dell’amato. Due capriole, quattro battute e il tutto finisce, quasi che ci fosse la fretta di concludere.
Twilight era ben lontano dalla perfezione, ma nonostante gli scarsi mezzi portava con sé un carica romantica e sottilmente sensuale che lo riscattava dalle sue molte pecche ed era evidente che la regista credeva profondamente in ciò che stava facendo, trasmettendolo a noi ed alla sua troupe un poco della magia che animava il libro. In New Moon evidentemente il regista non credeva e si è limitato a portar a casa il lauto stipendio, lasciandoci pesantemente delusi. Unico faro nella notte, l’Edward di Robert Pattinson, che dotato di carisma e grande presenza scenica, brilla di luce propria e fa brillare di riflesso coloro che gli stanno vicini, tolto lui l’ombra invade lo schermo e Bella non è davvero che una figurina scialba. Speriamo che Eclipse si riscatti e ci riscatti.
giovedì 19 novembre 2009
L’EROE TORMENTATO OVVERO IL PROTAGONISTA PERFETTO
Se Orgoglio e Pregiudizio col suo Mr Darcy è stato in qualche modo il capostipite di un genere e di un eroe, lo stesso si può dire delle Bronte e dei loro protagonisti che benché quasi contemporanei, non potrebbero essere più diversi. Heathcliff e Rochester sono umorali, scostanti, molto mascolini, arroganti, ma anche estremamente fieri, leali ed in lotta con l’ordine costituito e come tutti gli eroi torturati sembrano apparentemente delle figure negative quando in realtà sono profondamente positive. Difatti il nucleo di questo eroe è la sua disponibilità al sacrificio, che l’eroina percepisce inconsciamente e che la attrae inesorabilmente verso di lui. Come in un gioco di specchi la protagonista femminile sente un pericolo in quest’uomo, in qualche misura lo teme perché le offre poche certezze e molti dubbi, eppure allo stesso tempo la sofferenza che intuisce radicata in lui ed i demoni che intravvede la spingono ad aiutarlo, a salvarlo, ad amarlo. Così come non solo lui vuole essere salvato, benché non possa confessarlo nemmeno a sé stesso, ma è pronto a tutto per questa donna che gli si offre anima e cuore. Alla medesima maniera lui rappresenta quel senso dell’avventura, quell’arditezza e quella passionalità che l’eroina, come noi lettrici in fondo, tiene nascosta dentro di sé e teme di far uscire allo scoperto per non incorrere nel biasimo della società. Infatti la lotta della protagonista in questi romanzi è doppia, contro le difficoltà esterne ed il mondo che vuol tenerla separata dal suo amore da una parte, e contro quelle interiori dell’eroe che prima di cedere al sentimento, lotterà strenuamente per rimanere attaccato alla sua parte oscura. Ma quando l’amore trionferà, sarà perciò un doppio trionfo per l’eroina e tanto più importante in quanto è stato così sofferto.
Non credo esista un’altra tipologia di eroe così potente nel romance e più in generale in letteratura, un uomo che soffre è incredibilmente attraente per la protagonista e per la lettrice, sia perché tutti abbiamo esperienze negative alle spalle, nonché una nascosta parte buia, e questo ci permette di identificarci ed essere vicine a questa figura, ma anche perché la conquista del lieto fine rappresenta, ad un certo livello, il messaggio che il suo successo possa essere anche il nostro. Senza contare che chi ha la capacità di provare così tanto dolore, possiede anche la stessa capacità di provare un profondo piacere ed un amore intensissimo, il che è assolutamente seducente. La maturità, la complessità e la generosità di questo eroe, che ci fanno perdonare i suoi molti difetti, sono veramente sexy e l’essenza stessa del romance a mio avviso, è per lui che ci batte il cuore, è per lui che smaniamo è lui quello che vorremmo essere se fossimo maschi, ci beviamo le sue lacrime ed il suo dolore come suggessimo del nettare, è da lui che vorremmo essere sottomesse ed a cui vorremmo abbandonarci in una lieta e femminea resa, umano vampiro o licantropo che sia. Lui quello che ci fa sentire completamente donne e che tocca la nostra anima. Al suo confronto, gli altri semplicemente scompaiono.
martedì 17 novembre 2009
RECENSIONE LA MUSICA DELLA NOTTE (The music of the night) di Lydia Joyce
Edito in Italia da: Mondadori, I Romanzi no.885, Novembre 2009
Ambientazione: Italia, 1874 circa
Livello di sensualità: hot (bollente)
Voto: 8/10
Collegamenti ad altri romanzi: secondo volume della serie Night (perchè è la notte a fare da filo conduttore di tutti i racconti) così composta:
1. IL VELO DELLA NOTTE (The Veil of Night) – protagonisti Byron Stratford, Duca di Raeburn, e Victoria Wakefield – potete trovare le nostre note sul romanzo qui
2. LA MUSICA DELLA NOTTE (The Music of the Night) – protagonisti Sebastian Grimsthorpe, Lord Wortham, e Sarah Connolly
3. Whispers of the Night – protagonisti Dumitru Constantinescu, conte di Severinor, e Alcyone Carter
4. Voices of the Night – protagonisti Charles Crossham, Lord Edgington, e Maggie di King Street
5. Shadows of the Night – protagonisti Colin Radcliffe e Fern Ashcroft.
Sebastian Grimsthorpe aspetta nell'ombra di una bottega che la sua preda si avvicini. Non si trova a Venezia per caso, né ha abbandonato la natia Inghilterra assumendo l'identità del ricco argentino senor Guerra per un capriccio, ma al fine di ottenere giustizia per la sua giovanissima figlia illegittima. La legge in patria, viziata da interessi e pregiudizi, gli è stata avversa, lasciando a piede libero colui che un tempo gli era amico ed ora è il suo peggior nemico: Bertrand de Lint, annoiato, ricco, viziato e vizioso libertino, che per appagare le sue basse voglie ha violato una ragazza innocente. Mentre lo osserva avvicinarsi all'attracco con l'imbarcazione, la rabbia per il torto subito si mescola all'incredulità per la faccia tosta di de Lint che ha proclamato al mondo di essere stato in realtà sedotto dalla piccola Adela, gettando quindi discredito sulla povera vittima e su Sebastian stesso, pessimo padre, all'aspettativa per l'inizio del complicato piano che ha concepito. Questa volta, Bertrand non potrà fuggire e dovrà pagare per le sue colpe. Ma non appena de Lint sbarca, non è da lui che lo sguardo Grimstorpe è attratto, né dalle sue nipoti e cugine che l'accompagnano in questo viaggio nella Serenissima, ma da una donna piccola, esile e chiaramente di condizione poco elevata. Un paio di occhi meravigliosi incrocia i suoi e per un attimo il tempo sembra fermarsi, non c’è più un “prima” od un “dopo” ma solo un “ora”, non più angosce e preoccupazioni ma solo il piacere del momento. Poi l’incantesimo si rompe e Sebastian si rende conto delle evidenti benché non troppo marcate cicatrici da vaiolo che marchiano il suo viso e del fatto che ella sia legata in qualche modo a de Lint, visto che lui la sta aiutando a scendere a terra. Un’amante probabilmente, si dice Sebastian ed immediatamente, anche spinto da un improvviso quanto intenso desiderio, modifica i suoi piani per includerla ed umiliare ulteriormente Bertrand.
Sarah Connolly fissa lo sconosciuto seminascosto nel palazzo di fronte al pontile ed il cuore accelera i battiti, il calore le invade corpo e cuore, facendola sentire per un istante lungo un’eternità, bella, desiderabile e piena di vita, non la povera sfigurata, sola e negletta che è. Pur ringraziando il cielo di aver insperatamente trovato quell’impiego come dama di compagnia di Lady Merrill, la presenza di suo figlio le ricorda che è solo un’inferiore pronta per essere preda, senza potersi difendere, degli istinti del suo padrone, non è che una donna ed una serva, il suo destino segnato, le aspettative per il futuro poche. Eppure le è bastato sentirsi osservata da quello sconosciuto per immaginare e sognare una vita diversa, per sperare in un miracolo, per illudersi che anche a lei, almeno una volta, la fortuna potrebbe arridere. Nonostante sappia che è una follia, farà di tutto per aggrapparsi a questa fioca luce nel buio dei suoi giorni, correrà rischi assurdi per conoscere anche piccole briciole di gioia, per sentire la vita riempirla anche se per poco tempo. Costi quello che costi, è pronta a pagarne il prezzo, che sarà invero alto, come lo sarà anche per Sebastian, così alto che le loro esistenze non saranno più le stesse.
Avrei voluto recensire un altro libro oggi, ma dopo aver letto questo mi è stato impossibile. Avevo letto e molto apprezzato il precedente Il velo della notte, ma questo secondo romanzo di Lydia Joyce è stata una piacevole d inaspettata sorpresa. Scritto con perizia ed eleganza, rivela uno stile più maturo ed una maggiore sicurezza dell’autrice nei suoi mezzi espressivi, tanto da potersi dedicare in scioltezza alla storia ed personaggi, mentre ne Il velo della notte, si avvertiva una maggiore concentrazione sull’estetica della scrittura.
La trama, per quanto non originalissima, è talmente intensa da catturare immediatamente l’attenzione del lettore e mantenere alto il ritmo fino alle ultime pagine, a cui si giunge senza quasi rendersi conto di averle letteralmente divorate. Perché sin dal primo capitolo anche noi, come Sarah, siamo preda di una magia e ci troviamo completamente immerse nella vicenda. Sarah e Sebastian sono due figure contraddittorie, tormentate e sofferenti anche se per motivi molto differenti, che si incontrano quando non dovrebbero e come due ladri nella notte, provano a rubare uno scampolo di felicità. La Joyce è bravissima nel farci entrare dentro l’animo alquanto buio dei suoi personaggi, nel farci provare i loro patemi, nel permetterci si scorgere i lampi di possibile salvezza che appaiono loro davanti e che per essere abbracciati richiedono però sacrificio e fatica. Assisteremo alla crescita di Sarah e Sebastian con trepidazione e partecipazione, ci commuoveremo per le loro traversie e festeggeremo con loro il lieto fine, soddisfatti per una lettura densa e non scontata, quando sarebbe stato molto più semplice essere superficiali e poco profondi, oppure virare al melodrammatico come sovente fanno diverse scrittrici, sollecitando e sfruttando una risposta emotiva coatta. Ma Lydia Joyce si accosta alla sua coppia di eroi con rispetto, naturalezza e genuino interesse, ci svela la loro natura con delicatezza ma senza nascondere nulla, rendendoli quindi veri ed appassionanti.
Sarah, fragile ed insicura, imparerà ad avere coscienza di sé stessa, ad amarsi ed accettarsi, divenendo da bruco splendida farfalla, Sebastian farà pace con la sua sete inesausta di accettazione, approvazione ed affetto ed imparerà dai suoi errori, trovando la forza di provare ad essere un uomo ed un padre migliore. Il tutto in una storia dove, come nella realtà, non ci sono gli assoluti, ma l’infinità varietà delle mezze tinte e prima di arrivare al mare limpido, bisognerà sguazzare nell’acqua melmosa della laguna di Venezia. Unica nota dolente, a mio avviso, l’essere ricorsa da parte dell’autrice ad alcuni clichees nella figura di Sarah, oltre al fatto che difficilmente una ragazza dalle origini così umili e dalla vita passata nei bassifondi, per quanto abbia poi trascorso alcuni anni a sgrezzarsi, sarebbe stata in grado si raggiungere quel grado di istruzione e quei modi raffinati, tanto da poter passare per una aristocratica. Peccato perdonabile, visti i numerosi altri meriti del romanzo.
Emozionante e convincente, nonché estremamente sensuale, consigliatissimo.
mercoledì 4 novembre 2009
VERGINI O VERE DONNE
Le donne nel passato, con l’eccezione di pochi periodi storici e delle classi più basse, la cui condizione di povertà portava ad una promiscuità coatta, venivano cresciute nella più completa ignoranza della propria anatomia così come di quella maschile, né avevano la più pallida idea di cosa fosse la sessualità, se non mera riproduzione dei cui meccanismi non venivano mai comunque adeguatamente informate. Normalmente i rapporti intimi dei coniugi avvenivano vestiti ed al buio, nel giro di un paio di minuti si esaurivano e difficilmente si svolgevano in una posizione diversa da quella del missionario. Anche dopo quaranta anni di matrimonio, era alquanto improbabile che una moglie conoscesse il corpo o il sesso del marito e viceversa.
venerdì 16 ottobre 2009
RECENSIONE NODO DI SANGUE (Guilty Pleasures) di Laurell K. Hamilton
Edito in Italia da : in hardcover: Casa Editrice Nord, 2003; in economica: Teadue 2005, pp 339
Traduzione di: Alessandro Zabini
Ambientazione: contemporanea, USA
Genere: urban fantasy
Livello di sensualità : warm (caldo)
Voto/rating: 8,5/10
Collegamenti ad altri romanzi: benché questa sia una serie, Vampire Hunter, i libri possono essere letti anche indipendentemente:
1) Guilty Pleasures (Nodo di Sangue 2003)
2) The Laughing Corpse (Resti Mortali 2006)
3) Circus of the Damned (Il Circo dei Dannati 2004)
4) The Lunatic Cafe (Luna Nera 2004)
5) Bloody Bones (Polvere alla Polvere 2005)
6) The Killing Dance (Il Ballo della Morte 2005)
7) Burnt Offerings (Dono di Cenere 2007)
8) Blue Moon (Blue Moon 2008)
9) Obsidian Butterfly (Butterfly 2009)
10) Narcissus in Chains (inedito in Italia)
11) Cerulean Sins (inedito in Italia)
12) Incubus Dreams (inedito in Italia)
13) Danse Macabre (inedito in Italia)
14) The Harlequin (inedito in Italia)
15) Blood Noir (inedito in Italia)
16) Skin Trade (inedito in Italia)
St.Louis, Missouri, pieno midwest, quella che viene chiamata la buona provincia americana, quella sana. Niente di più falso. St.Louis è una città violenta, assetata di sangue e piaceri proibiti, senza freni e con poche regole che non siano quelle della soddisfazione degli istinti e dei desideri più bassi. La morale non è che un abito da cocktail da smettere quando si fa sera, gli scrupoli un inutile retaggio arcano che va nascosto, meglio se eliminato. La morte è dovunque, il tanfo della putrefazione è un odore costante come quello dei gas di scarico delle fabbriche. Il caos, la sopraffazione e lo sfruttamento regnano incontrastati tra l’indifferenza dei più e la connivenza di molti. Sia quelli prodotti dagli umani, che dalle altre creature che popolano questa sordida città: vampiri, oramai usciti allo scoperto con tanto di chiesa della Vita Eterna, lupi e ratti mannari, ritornati, zombie. In un mondo che non crede più in niente se non al guadagno ed al godimento effimero, Anita Blake va dritta per la sua strada, senza guardare in faccia nessuno. Risvegliante di cadaveri per professione, cacciatrice di vampiri per necessità, tanto da essere soprannominata la Sterminatrice, non cede a compromessi e non fa sconti. Ma quando un misterioso, imprendibile e molto forte assassino comincia a fare strage dei vampiri più potenti in città, Anita sarà costretta suo malgrado, attraverso un doppio ricatto mortale, ad aiutare proprio gli odiati vampiri nella ricerca ed eliminazione di questo killer, senza la certezza peraltro di poterne uscire viva. A portarla dritta in trappola lo splendido Jean Claude, vampiro centenario, nonché proprietario del Guilty Pleasure, un club dove gli umani ed i non morti possono abbandonarsi alle proprie perversioni. Ma forse anche lui è vittima di forze più grandi ed occulte…
Nel lontano 1994 Laurell K. Hamilton esordiva con questo memorabile romanzo destinato a divenire il primo di una fortunatissima serie, memorabile per come riusciva abilmente ed in maniera originale a mescolare elementi horror, gotici e splatter in un insieme efficace e coinvolgente e soprattutto per aver creato una indimenticabile e copiatissima eroina: Anita Blake. Se l’avete già conosciuta la amate di sicuro, se ancora non l’avete fatto, l’amerete. Forte e fragile, coraggiosa ed impavida, cinica e sensibile, indifferente e sentimentale, comune eppure eccezionale, una donna piena di contraddizioni, piena di sfaccettature, che attraverso le sue presunte certezze granitiche sta invece cercando sé stessa, che vuol credere che nella vita ci sia un senso e che noi siamo gli artefici del nostro destino. Anche quando compie azioni che nel profondo la fanno ribrezzo, anche quando uccide con mano ferma fingendo di non provare alcun rimorso, anche quando il suo cuore ed il suo corpo la tradiscono desiderando un immondo vampiro.
Certo non è da trascurare il fatto che la scrittrice abbia qui anche creato (e di ciò la ringraziamo infinitamente) quello che è diventato un simbolo di seduzione maschile per eccellenza, il torbido, sensuale, affascinante vampiro Jean- Claude, che rivaleggia con Lestat ed Edward Cullen nell’immaginario femminile, senza avere la presenza angelicata di quest’ultimo, ma essendo molto più carnale. Un vampiro per adulti, come questa è una storia adulta per adulti, piena di chiaroscuri e di cui non vi libererete tanto facilmente una volta chiuso il volume. Non lasciatevela sfuggire.
mercoledì 14 ottobre 2009
LIBERTINI E VERI UOMINI
"In vain have I struggled. It will not do. My feelings will not be repressed. You must allow me to tell you how ardently I admire and love you"
1) uomini che a trent’anni non hanno mai avuto un rapporto duraturo e significativo hanno chiaramente qualcosa che non va, e certamente sono degli immaturi con gravi problemi affettivi, nella vita reale ci terremmo ben lontane da loro
Secondo alcuni, le lettrici di romance sono di base molto conservatrici e ed aderenti a modelli tutto sommato patriarcali, per cui associano la potenza e l’attività sessuale all’essenza del vero uomo, così come la donna vergine e piuttosto sottomessa è l’essenza della vera donna. Le lettrici quindi, identificandosi con la protagonista illibata, nel conquistare l’eroe così maschio e concupito, ottengono una doppia vittoria: su tutte le altre donne, su cui si dimostrano superiori, e sugli uomini in generale, visto che loro così inesperte sono riuscite a far impazzire un esemplare di tal fatta. In realtà è una vittoria ben effimera, primo perché ciò non può attenuare il fatto che le donne in quella società non godano di alcun prevalenza e che debbano subire un ordine sociale, morale e giuridico assolutamente ingiusto, secondo perché questo finto trionfo della vergine, mostra assai chiaramente il sogno da parte di queste donne di avere un potere che nella vita reale non hanno affatto.
sabato 5 settembre 2009
RECENSIONE LA REGINA DELL'ETERNITA'( Nefertiti) di Michelle Moran
Ambientazione: Egitto, 1350 A.C. circa
Voto/rating: 5/10
Anche chi non conosce la storia dell'Antico Egitto ha sentito parlare del faraone Akhenaton, colui che pose il dio Aton al di sopra degli altri dei del pantheon egizio, e della sua consorte, la bellissima regina Nefertiti, la cui immagine, variamente riprodotta, è dovunque a vario titolo e difatti quasi tutti quindi hanno avuto la possibilità di ammirare, anche se non dal vivo, lo splendido busto conservato all'Altes Museum di Berlino.
Il libro della giovane Michelle Moran dovrebbe, almeno nominalmente, parlare appunto di Nefertiti ed attraverso di lei dell' avventura amarniana, in quello che viene presentato come un documentatissimo romanzo storico.
In realtà qui di storico c'è pochissimo, se non una discreta quanto superficiale cornice, tanto per dimostrare che l'autrice ha fatto i compiti a casa, ma oltre questo non si va.
Tanto per cominciare la protagonista non è la Grande Sposa Reale bensì sua sorella Mutnodjmet, che all'inzio della storia, benchè abbia solo tredici anni, parla e ci viene presentata come se ne avesse almeno trenta e fosse molto saggia. Peccato che al comtempo sia piuttosto sciocca, banale e dimostri di non capire molto del mondo che la circonda e tutto sommato non sia un personaggio così interessante da costruirci un romanzo intorno, visto che oltre ad essere la voce narrante, tutto viene visto attraverso i suoi occhi. Nefertiti quindi appare solo in un susseguirsi si scene selgate tra loro, che saltano anche diversi anni alla volta, come fosse una comparsa di lusso nella vita della sorella minore.
Le psicologie sono appena tratteggiate e ben poco credibili, soprattutto se rapportate all'epoca (abbiamo una regina madre che usa temini come slogan e leader!) e che rimandano più alle commedie scolastiche americane che non all'antico Egitto. A parte Mutnodjmet, che diventa Mutny sin dalle prime pagine (come se gli anichi egizi usassero i medesimi vezzeggiativi degli statunitensi) gli altri personaggi sono poco più che delle macchiette, a cominciare da Akhenaton che inspiegabilmente, viene dipinto come un ragazzino folle ed isterico che per vendicarsi della mancata adorazione popolare, si reca nella sua città orami invasa dalla peste con intenti bellicosi, facendosi contagiare e morendo poco dopo insieme e diverse sue figlie. Al di là del fatto che ciò è storicamente falso, anche da un punto di vista di coerenza narrativa non ha alcun senso e sconfina nel ridicolo. Ma il meglio, a mio avviso, la scrittrice lo raggiunge nella figura di Nefertiti: vanitosa, viziata, prepotente, egoista. La teen-ager cattiva per eccellenza, vista appunto in tantissime filmetti adolescenziali e che nulla ha a che vedere nè con la realtà ne con la verosimiglianza. Anche lei, come tutti gli altri personaggi, non ha una ragione per esistere nè il suo comportamento è giustificabile o veramente comprensibile. Sembra purtroppo, come tutto il romanzo del resto, una brutta copia dell'Anna Bolena de L'altra donna del re di Philippa Gregory, libro ed autrice di ben altro spessore e calibro.
Personalmente sono arrivata alla fine solo per forza di volontà, la sciatteria e la superficilità del tutto mi hanno davvero irritata e pur non negando una certa capacità narrativa alla Moran, sconsiglio questo titolo a tutti con l'eccezione di chi è totalmene digiuno di storia, non ha mai letto un romanzo storico e ama le letture totalmente non impegnative e di poco spessore.
venerdì 14 agosto 2009
LORDS E PROSTITUTE
Per chi volesse farsi un'idea di come andavano (ed in molti paesi ancora vanno) le cose, suggerisco la lettura di due titoli recenti e facilmente reperibili: Michel Faber "Il petalo cremisi ed il bianco” (Einaudi) e Belinda Starling "La rilegatrice di libri proibiti” (Neri Pozza). Il primo è un capolavoro, anche se molti non sono riusciti ad apprezzarlo a causa della lunghezza, 985 pagine, ed ha per protagonista principale, tra i molti altri, Sugar, giovane e richiestissima prostituta che cerca, di districarsi in una esistenza terribile e senza futuro apparente. Sulla sua strada incontrerà William Rackham, giovane e ricco gentiluomo che ha bisogno di legittimarsi nella sua virilità attraverso un rapporto mercenario privilegiato e che non pensa minimamente a sconvolgere la propria vita per lei. Il suo matrimonio con la bellissima debuttante Agnes è uguale a quello di tanti altri del medesimo ceto e della medesima epoca: una noiosa ma rassicurante routine per lui, un' angosciante e ripetitivo inferno domestico per lei.
“La rilegatrice di libri proibiti” invece narra la difficile lotta per la sopravvivenza ed i compromessi morali necessari per farlo, (operare su testi ed immagini pornografiche, cedere ai ricatti degli usurai, lavorare con degli schiavi) della moglie di un rilegatore Dora, che si vede costretta a sostituirlo, quando questi diventa invalido, all'insaputa di tutti perchè all'epoca non era accettabile che una donna piccolo borghese lavorasse e per di più svolgesse una professione da uomo. Dora affronterà lotte impari e perderà ogni sicurezza psicologica e materiale prima della fine delle sue traversie. Entrambi i romanzi sono ambientati nella Londra vittoriana ad una decina di anni di distanza, lo stesso set di moltissimi romanzi rosa, ma qui si vede la miseria, si sente quasi la puzza di una città piena di poveri e mendicanti, dove la condizione della donna è comunque quella di un essere inferiore, senza diritti se indigente, con pochissimi se ricca, non degna di stima né di rispetto se non in quanto fattrice, costretta comunque a vendersi ad un marito o ad un amante, per il quale non è né più né meno che un oggetto od un pezzo di carne da usare a proprio piacimento. Non ci sono cavalieri immacolati e coraggiosi che si struggono per la cortigiana di turno, bensì maschi affamati che necessitano di sfogare la loro libidine e prostitute che di certo il cuore non l'hanno d'oro, bensì duro come un diamante per aver vissuto e sopportato anni di orrore.
Allora è forse vero che le lettrici di Romance non hanno senso critico o che preferiscono credere in un modo irrealistico dove gli uomini e le donne sono infinitamente più perfetti o semplicemente bidimensionali? Il successo che films come Pretty Woman continuano a riscuotere ad ogni passaggio televisivo sembrerebbe confermare una simile ipotesi, come se il ruolo della donna, nell'immaginario collettivo, si fosse cristallizzato in due sole posizioni: la santa e la peccatrice, a dispetto di una realtà in forte e continuo cambiamento o forse proprio per questo. Le eccezioni storiche ci sono sempre state ovviamente, basti pensare all'imperatore Giustiniano, che fece della ex mantenuta Teodora la sua imperatrice, ma erano appunto eccezioni, è curioso osservare come per qualche misterioso motivo, quella che è stata per gli ultimi 350 anni una costante, ovvero la relazione tra un ricco borghese od un aristocratico ed un'attrice più o meno di grido, questa si conclusasi più volte con un matrimonio, non venga praticamente mai affrontata dalle autrici di Romance. Radicata diffidenza verso una professione sempre considerata sospetta (in fondo come fidarsi di chi per mestiere finge di essere qualcun altro), scarsa voglia o timore di cimentarsi con temi differenti da parte di editori e scrittrici? La Storia è ricca di vicende affascinanti di donne molto più interessanti di Margherita Gauthier/ Violetta Valery, è forse giusto cominciare a scoprirle e farne spunto per splendide storie d'amore.....
martedì 11 agosto 2009
RECENSIONE IO E MARLEY (Marley and Me) 2008
John e Jennifer Grogan sono una giovane coppia di sposi piena di entusiasmo ma ancor più di incertezze: sul loro futuro in generale e su quello professionale in particolare, su dove stabilirsi e su quale direzione far prendere al loro rapporto. Se Jennifer ha le idee piuttosto chiare, ovvero vuole una famiglia, John non si sente ancora del tutto adulto né pronto a diventar padre, così accetta immediatamente il suggerimento di un collega, ovvero prendere un cane che tenga occupata Jennifer e le permetta allo stesso tempo di sfogare il suo istinto materno, concedendogli intanto la possibilità di procrastinare una decisione e di abituarsi eventualmente all’idea di una prossima paternità. La scelta cade su uno splendido cucciolo di Labrador Retriver, ribattezzato Marley, che si rivelerà un incrocio tra un terremoto ed un ciclone e che sconvolgerà la loro vita, dapprima nel tentativo di tenerlo a bada ed in seguito come membro fondamentale e cemento della nascente famiglia Grogan. Gli anni passeranno, molti cambiamenti ci saranno ma Marley sarà sempre lì, guardiano, custode, compagno, testimone, amico.
Tre anni fa il libro autobiografico del giornalista John Grogan ottenne un inaspettato e planetario successo, naturale quindi che Hollywood decidesse di farne un film che bissasse quel successo. L’impresa, almeno dal punto di vista economico, sembra riuscita: il film ha incassato moltissimo in America e nei paesi dove è uscito finora, anche se non tutti sembra abbiano capito il meccanismo per cui ciò sia successo. In effetti la pellicola non è certamente un capolavoro e la regia di David Frankel è quella che si definisce una direzione “corretta” ma senza particolari guizzi, al limite del piatto, specialmente quando dopo una prima parte più ritmata e divertente (in cui Marley ne combina mille ed una), la storia rallenta per seguire la vita quotidiana della famiglia Grogan divenendo la cronaca un poco banale di fatti usuali e comuni ai più. Però è proprio in questa mancanza di eccezionalità che sta paradossalmente la forza del film, non le vicende funamboliche od avventurose di personaggi fittizi, ma l’esistenza genuina e scontata di un normale nucleo familiare alle prese con problemi scontati e normali, ma in cui tutti possono riconoscersi, narrati con delicatezza, senza mai alzare i toni o ricorrere ad effettacci di dubbio gusto. Perché ciò che è davvero straordinario, nel suo essere ordinario, è la forza del sentimento che unisce la coppia da sola prima ed in seguito la coppia che cresce e matura aprendosi alla genitorialità, grazie anche a Marley e che impara la forza dell’amore nelle sue varie declinazioni, inclusa quella importantissima tra uomo ed animale, tra padrone e cane.
Un film carino, che intrattiene nonostante qualche lentezza e che si riscatta totalmente in un finale tragico ma molto intenso, che sfida diversi tabù e ci regala alcune scene di puro dolore, che niente hanno a che fare con certe pellicole completamente artefatte per la famiglia.
Lavorano per noi, con noi, pronti a dar la vita per un sorriso ed una carezza. John Grogan ha reso un giusto e doveroso omaggio ad una creatura splendida col suo libro, ed anche il film nel suo piccolo, riesce in parte a riprodurre il nocciolo di questo evento speciale, credo che anche noi dovremmo dire una sola parola: grazie.
RECENSIONE SEMPLICEMENTE PERFETTO (Simply Perfect) di Mary Balogh
Claudia Martin preside ed insegnante: aspetto mediocre, dura, severa, seria, responsabile, generosa, gentile, coraggiosa, orgogliosa caparbia, zitella trentacinquenne che odia gli aristocratici.
Lui è uno splendido aristocratico, un perfetto gentiluomo, nato con tutti i privilegi, apparentemente a suo agio nella sua condizione, che ha trascorso una tranquilla esistenza a fare ciò che tutti si aspettavano da lui, né di più né di meno. O quasi. Perché Joseph custodisce un segreto dolce-amaro, un segreto per cui la prospettiva dell’imminente matrimonio, combinato per lui da suo padre, diviene fonte di preoccupazione oltre che non particolarmente appetibile. Ma non si sottrarrà a quelli che considera essere i suoi doveri principali, ovvero sposarsi e generare almeno un erede legittimo. Farà ciò che è giusto, come sempre del resto.
Anche Claudia ha fatto del dovere quasi una religione, ne è sacerdotessa e cultrice al tempo stesso, lo impone agli altri ed a sé stessa per prima, con ben poche deroghe, conducendo ogni giorno una vita accuratamente programmata, piuttosto monotona e molto prevedibile.
Un banale viaggio lì farà incontrare, scontrare, separare ed infine avvicinare quando Joseph si confesserà con Claudia per chiedere il suo aiuto per una questione talmente importante da sconvolgere i loro destini, benché entrambi si oppongano con violenza ad ogni cambiamento dello statu quo. Per paura, per abitudine, per timore di sfidare le convenzioni, per comodità, per aver perso la capacità di sognare. Perché a volte la rassegnazione è ben più facile, così come autopunirsi diviene una consuetudine rassicurante. Ma a volte i germogli più belli riescono a sbocciare in un territorio ostile, così come l’amore arriva dove non lo si cerca e quando non lo si aspetta, se solo si ha il coraggio di guardarlo a viso aperto e di accettarlo. E Claudia e Joseph non si sottrarranno alla sfida.
Mary Balogh, come da par suo, crea scenari di rara magia, di estrema atmosfera e di totale verità, non vi sono scene sconvolgenti o particolarmente erotiche, eppure leggere di Claudia e Joseph, seduti l’uno a fianco dell’altra, silenti eppure vicinissimi interiormente, è leggere una delle più belle, ben riuscite e penetranti scene d’amore mai scritte in un romance. Questo è l’amore, quello dei piccoli ma importantissimi gesti comuni, quotidiani, ma ricolmi di significati quando compiuti da chi ci ama e che amiamo, un amore non impossibile, pieno di imperfezioni, non facile, ma per cui impegnarci, lottare e patire se necessario.
domenica 26 luglio 2009
RECENSIONE IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON (The curious case of Benjamin Button) 2008
E’ difficile non partecipare alla vita di questo bambino, alla sua scoperta della vita partendo dall’assenza di speranze per approdare alla meraviglia della conquista giornaliera di ciò che gli altri danno per scontato, come poter camminare con le proprie gambe, essere autosufficienti, uscire di casa, riuscire lavorare, scoprire l’amore, quello fisico e quello spirituale, sapendo al contrario di tutti gli altri, quale sarà la propria fine. E mantenere l’animo puro ed aperto, alle persone come all’esistenza, per quanti colpi duri essa possa infliggerci.
Certamente la prima metà del film, incentrata su Benjamin, è la più riuscita, si rimane avvinti dalle immagini in maniera quasi ipnotica e ci si sente catturarti nel profondo senza comprenderne totalmente il motivo. Poi la trama si sposta sulla storia sentimentale tra i protagonisti, cambiando leggermente registro. Benjamin e Daisy si innamoreranno da bambini e riusciranno, dopo molte traversie ed esperienze, a vivere appieno questo sentimento solo ormai adulti e per un breve momento. Ma non è questo il miglior ritratto dell’amore che il film ci regala. Pitt e Blanchett sono bellissimi, levigati, perfettamente accoppiati ed adeguatamente appassionati nei loro incontri della maturità, poi per loro il tempo inizierà a scorrere diacronicamente. Solo allora, quando entrambi saranno vecchi, anche se in maniera fisicamente opposta, assisteremo ad alcune tra le più commoventi e vivide rappresentazioni dell’amore che mi sia mai capitato di vedere sul grande schermo, varrebbero da sole tutto il film.
David Fincher, innovatore, disturbatore, amante dei toni cupi e dei disadattati, sorprendentemente dirige una pellicola in maniera classica eppure personale, raggiungendo una maturità che promette futuri capolavori e che diversamente dalle sue precedenti opere non propone soluzioni ma pone quesiti.
Quesiti probabilmente sgradevoli in un mondo dominato da una parte da dogmi ed ideologie (anche in campo cinematografico) dall’altro da un individualismo sfrenato e da un culto di una irraggiungibile perfezione fisica sotto cui si cela il niente ed il terrore della morte. La bruttezza o una qualsiasi deformità o difformità rendono un essere umano indegno ed immeritevole di essere accolto nella società e di essere amato? Perché la società non vuole farsene carico come non vuole farsi carico degli anziani, trasformando di fatto tutte queste persone in invisibili ed indesiderabili? Davvero i legami di sangue sono quelli più forti o l'esser genitori non ha nulla a che fare con la semplice biologia e tutto con il desiderio di accoglienza? Perché non sono accettabili gli inevitabili segni dell’invecchiamento? Perché non si può mostrare che l’amore è anche rinuncia al proprio egocentrismo e parzialmente rinuncia all’io, per passare al noi? Cosa o chi dà significato al nostro vivere?
A ciascuno di noi trovare, se c’interessa, la risposta a queste domande, proposte più con la potenza delle immagini che con quella delle parole, che onestamente qui sono di importanza alquanto relativa. E come le immagini, restano dentro di noi, a lungo. Impossibile uscire dalla visione di questo film senza aver provato nulla, non importa a quali mezzi gli autori siano ricorsi, fatto sta che hanno colpito il nostro cuore e toccato il nostro spirito. A me sembra un risultato enorme.
RECENSIONE SOGNANDO TE( Dreaming of you) di Lisa Kleypas
sabato 25 luglio 2009
RECENSIONE PROMESSE (Uncommon Vows) di Mary Jo Putney
Prima pubblicazione anno: 1991 by Onyx
Può uno sguardo penetrare nel cuore? Può uno sguardo rapire l’anima? Adrian de Lancey se lo domanda dopo aver incontrato quello della giovane novizia Meriel de Vere e preferisce non aver risposta. Lui è un cavaliere che passa da una battaglia all’altra e lei una fanciulla votata a Dio. Meglio dimenticare. Trascorrono sei anni e di nuovo il destino fa incrociare i loro cammini, Meriel alla fine non ha preso i voti e si trova accidentalmente nei possedimenti di Adrian, dove viene scambiata per una cacciatrice di frodo. Meriel, temendo rappresaglie, preferisce non dichiarare la propria identità di nobile Normanna ed essere scambiata per una serva, visto che suo fratello appoggia la fazione avversa ad Adrian,ora conte di Shropshire. Ma Adrian, benché non la riconosca immediatamente, è di nuovo in balia del suo sguardo e non riesce a liberarsi di quello che gli appare come un sortilegio. Comincia così la storia di un desiderio intenso e contrastato che si trasformerà in ossessione, quando la ragazza rifiuterà tutte le sue avances e dichiarerà di preferire la morte alla sottomissione della sua volontà. Sarà un lotta feroce ed estenuante quasi come sul campo di battaglia per Adrian, che porrà in secondo piano i suoi doveri e la guerra civile che sta infuriando in Inghilterra, per gli occhi di Meriel , quegli occhi che rifiutano di ricambiarlo ma da cui lui non riesce a distaccarsi.
Il Medioevo inglese è spesso usato come ambientazione di romances storici, ma con risultati alquanto scarsi, visto che abbondano gli anacronismi e l’incapacità a ritrarre verosimilmente ambienti, situazioni e personaggi. La Putney invece ci presenta uno splendido affresco dell’anno mille, facendoci credere di stare effettivamente vivendo in quel periodo e non di stare guardando dei contemporanei travestiti da antichi. Il suo è quasi un romanzo intimista, perché benché non manchino i riferimenti esteriori, il racconto si concentra sui conflitti interiori dei due protagonisti, sui loro desideri confessati e su quelli inconfessabili, sul primato o meno del dovere sulla volontà individuale, sugli scrupoli della coscienza. Ecco, la coscienza: è la terza protagonista di questo libro, una protagonista forse ingombrate per il sentire contemporaneo, che si fa beffe di essa come di qualsivoglia scrupolo, relegandolo all’archeologia. Adrian e Meriel invece debbono rispondere alla loro coscienza, formatasi su una severa educazione religiosa, come era naturale e consueto all’epoca, ma che per loro è anche più forte in quanto entrambi sono stati vicinissimi a prendere i voti.
Adrian vorrebbe essere più forte dei suoi appetiti per il sangue e per la carne, ma come non può liberarsi del tutto dal piacere della battaglia, così non riesce a rifiutare il piacere del corpo della donna. Meriel invece teme profondamente di poter anche solo immaginare di abbandonarsi a quelli che per lei non sono che impulsi del demonio per allontanarla dal Cristo. Ma la paura non può fermare il fluire della passione: entra nei pori della pelle, scorre nel sangue, si respira con l’aria nei polmoni, batte con le pulsazioni del nostro cuore. Arrendervisi non sarà facile per nessuno dei due.
Il sentimento Cristiano di entrambi è vivissimo e profondo, l’amore per Gesù è così vero che è assolutamente toccante; è da molto tempo che non leggevo in un romanzo una tale sincera e forte atmosfera religiosa e mai mi era capitato in un romance, dove purtroppo, a discapito di qualunque realtà storica oggettiva, l’elemento della Fede non compare quasi mai e tutti sembrano allegramente o pigramente agnostici. Invece il Cristianesimo e la vita religiosa in generale, sono stati per millenni il centro della vita sociale e privata del mondo, solo negli ultimi trent’anni si è passati nel mondo occidentale, ad una secolarizzazione diffusa, quindi tanto di cappello alla Putney per aver saputo ricreare un tal universo, con perizia ed onestà. Non è necessario essere credenti per apprezzare un racconto del genere, anzi. La scena in cui Adrian risolve la propria lotta interiore e può finalmente pregare col cuore leggero, è una delle più intense che abbia letto, sentire quasi, come lui, la Grazia attraversarci sarebbe un bel regalo. Inoltre, il senso del peccato è la base della contrapposizione, quindi del cardine di ogni tipo di letteratura e qui è espresso molto chiaramente, divenendo un punto di forza del romanzo.
Altro punto forte è il meraviglioso protagonista Adrian: freddo e bollente, saggio ed imprudente, sicuro ma tormentato, umile ma anche volitivo, ci si innamora di lui quasi istantaneamente e si vorrebbe non lasciarlo, nonché vederlo accoppiato ad un’eroina di pari livello. Purtroppo invece Meriel risulta semplicemente essere una ragazzina, testarda, limitata ed oltremodo incapace di ammettere di essere in torto. Non comprendiamo perché Adrian debba essere così follemente innamorato di lei, visto che non porta alcun segno di eccezionalità. Peggio ancora, l’espediente utilizzato dall’autrice per giustificare il cambiamento della donzella, non solo risulta troppo macchinoso e poco credibile, ma non fa che aumentare la limpida percezione del divario tra i due. Un eroe di tale levatura è destinato ad essere perdente quando la sua amata è troppo mediocre, così come tutta la storia sfortunatamente si sfalda dopo una prima parte talmente ben riuscita e palpitante che non si riesce ad interrompere la lettura. Un inizio folgorante che non mantiene le promesse del titolo, un romanzo dalla doppia personalità come la sua protagonista: eccellente e passabile. Peccato, un’occasione sprecata, fermo restando che la Putney scrive come suo solito, con grande stile, eleganza e padronanza dei vari elementi della narrazione, ma quello che poteva essere un nove diviene un sette non pieno.