domenica 22 novembre 2009

RECENSIONE NEW MOON (2009)






Regia di Chris Weitz con Kristen Stewart (Bella Swan) Robert Pattinson (Edward Cullen) Taylor Lautner (Jacob Black) Billy Burke (Charlie Swan) Ashley Green (Alice Cullen) Michael Sheen (Aro) Dakota Fanning (Jane) Peter Facinelli (Carlisle Cullen).

Bella Swan compie diciotto anni ma quello che per ogni giovane è un traguardo importante, per lei diventa un passo fondamentale verso il raggiungimento dello scopo della sua vita: diventare la compagna del suo amato Edward, per sempre. Ma Edward che pure la ama appassionatamente non vuole privarla della mortalità, come non desidera che ella perda l’anima, divenendo una dannata come lui. Per questo la lascia brutalmente, convincendola che non la vuole più ed invitandola a proseguire come se non l’avesse mai conosciuto. Bella disperata ed incredula, ma sotto sotto convinta di meritarsi l’abbandono perché non è abbastanza per uno come Edward, viene travolta dalla depressione e comincia a compiere diversi gesti autolesionistici. Ad aiutarla a riprendersi ed uscire da quel tunnel buio c’è il vecchio amico Jacob Black; oramai anche lui è cresciuto, ha sedici anni e vede Bella come ben più che un’amica. Lei si appoggia a lui per conforto ed aiuto, lui spera che la sua gratitudine si trasformi in qualcosa di maggiormente profondo. Però il fantasma di Edward è tra loro, costante. Inoltre Bella scopre che Jacob è divenuto un licantropo, ovvero il peggior nemico dei vampiri e sa che sarà presto costretta ad effettuare una scelta tra le due razze che assolutamente non vuole compiere dato che preferirebbe mantenere le sue amicizie ed i pur precari equilibri esistenti inalterati. Non sarà possibile, sia perché la vampira Victoria le dà la caccia per vendicarsi della morte del suo compagno causata dai Cullen, sia perché Bella volerà in Italia per impedire ad Edward, che la crede morta a causa di un equivoco, di suscitare la collera degli antichissimi vampiri Volturi per essere da questi giustiziato.

Inizia proprio con una bellissima ripresa della luna,
New Moon appunto, che sembra promettere bene per questa seconda puntata cinematografica della saga di Twilight, ma dopo nemmeno quindici minuti, cioè quando Edward lascia Bella già iniziano i primi seri dubbi, che si consolidano dopo la prima ora per divenire certezza nel momento in cui quella che doveva essere la parte clou del film, ovvero l’incontro-scontro coi Volturi quando Edward persegue il suicidio per via indiretta, viene sprecata in pochi minuti. Sembrava che il pur bravo Chris Weitz, già regista rivelazione dell’ottimo About a boy, volesse imprimere la sua impronta alla pellicola con un impianto più classico, evidente nelle scenografie, nei costumi ed anche nelle inquadrature, più campi lunghi e medi, pochi movimenti di macchina, meno “alternativi” ed eclettici di quelli della Hardwicke che stava letteralmente incollata al viso ed al corpo dei suoi attori, come anche nella scelta dei colori quasi naturali, in confronto a quelli desaturati e molto efficaci di Twilight. Peccato che oltre questo non sia andato, abbandonando completamente a sé stessi sceneggiatura ed attori e confidando solo negli effetti speciali che, notevolmente migliorati grazie al grosso budget, sono di fatto la pagina migliore del film. Se in Twilight Kristen Stewart era brava ed in parte, qui sembra solo dover timbrare il cartellino e sopperisce alla mancanza di direzione del regista e di convinzione da parte sua con una serie infinita ed insopportabile di smorfie, come nemmeno Meg Ryan e Keira Knitley insieme avrebbero potuto fare. Imbarazzante il pompaggio con gli anabolizzanti del diciottenne Taylor Lautner, che interpreta volenterosamente Jacob, come se i muscoli gonfi dei suoi pettorali continuamente ed inutilmente esibiti potessero da soli sostituirsi ad una trama debole e ad una totale mancanza di intensità. Infatti nonostante i continui e rimarcati riferimenti e parallelismi con Romeo e Giulietta, qui della complessità del Bardo non vi è nulla, anzi, pare tutti ricerchino la semplificazione e la dissoluzione di un significato che superi la mera immagine patinata. Nelle urla di Bella non c’è il dolore evocato, nel suo viso nessuna traccia di quella sofferenza che la depressione dovrebbe portare con sé, l’amore tanto sbandierato per due ore non compare se non fugacemente. Scomparsi tutti i simbolismi e le possibili metafore legati al sangue, al vampirismo, ai licantropi come anche ogni componente anche vagamente sensuale. Davanti agli occhi scorrono scene levigate come in un videoclip pieno di modelli, dove ci sono tante comparse e nessun personaggio, se non nella affascinante ma troppo corta sequenza dei Volturi, dove veramente il film potrebbe decollare e tristemente non lo fa. Il britannico Michael Sheen, attore di razza come Aro e la giovane ma già veterana Dakota Fanning nei panni di Jane sono efficaci ed illuminano con forza, seppur brevemente, un film invece opaco, in una sequenza potente che avrebbe dovuto rappresentare il cuore della storia: la disponibilità al sacrifico assoluto per la salvezza dell’amato. Due capriole, quattro battute e il tutto finisce, quasi che ci fosse la fretta di concludere.
Twilight era ben lontano dalla perfezione, ma nonostante gli scarsi mezzi portava con sé un carica romantica e sottilmente sensuale che lo riscattava dalle sue molte pecche ed era evidente che la regista credeva profondamente in ciò che stava facendo, trasmettendolo a noi ed alla sua troupe un poco della magia che animava il libro. In New Moon evidentemente il regista non credeva e si è limitato a portar a casa il lauto stipendio, lasciandoci pesantemente delusi. Unico faro nella notte, l’Edward di Robert Pattinson, che dotato di carisma e grande presenza scenica, brilla di luce propria e fa brillare di riflesso coloro che gli stanno vicini, tolto lui l’ombra invade lo schermo e Bella non è davvero che una figurina scialba. Speriamo che Eclipse si riscatti e ci riscatti.


giovedì 19 novembre 2009

L’EROE TORMENTATO OVVERO IL PROTAGONISTA PERFETTO




Agli inizi dell’Ottocento, le sorelle Charlotte ed Emily Bronte, pubblicarono due romanzi destinati a segnare la storia della Letteratura per vari motivi: Jane Eyre e Cime tempestose. Oltre a tutti i meriti oggettivi, i due libri sono divenuti famosi per qualcosa che li accumuna, ovvero il protagonista maschile: tanto Rochester che Heathcliff sono infatti due eroi tormentati, ben lontani dall’ideale maschile promosso fino ad allora e destinati a fungere da modello per migliaia di eroi da allora. Un successo assoluto e travolgente che dura ancora ai giorni nostri, basti pensare per esempio a tanti titoli della Putney, della Keypas, della Kinsale, alle saghe della Kenyon e della Ward, dominate dagli eroi tormentati, allo splendido Edward Cullen della Meyer o al magnifico Jean Claude della Hamilton, figure che popolano tenacemente i sogni e le fantasie di milioni di donne anche di culture, età ed estrazione sociale molto diverse.
Se Orgoglio e Pregiudizio col suo Mr Darcy è stato in qualche modo il capostipite di un genere e di un eroe, lo stesso si può dire delle Bronte e dei loro protagonisti che benché quasi contemporanei, non potrebbero essere più diversi. Heathcliff e Rochester sono umorali, scostanti, molto mascolini, arroganti, ma anche estremamente fieri, leali ed in lotta con l’ordine costituito e come tutti gli eroi torturati sembrano apparentemente delle figure negative quando in realtà sono profondamente positive. Difatti il nucleo di questo eroe è la sua disponibilità al sacrificio, che l’eroina percepisce inconsciamente e che la attrae inesorabilmente verso di lui. Come in un gioco di specchi la protagonista femminile sente un pericolo in quest’uomo, in qualche misura lo teme perché le offre poche certezze e molti dubbi, eppure allo stesso tempo la sofferenza che intuisce radicata in lui ed i demoni che intravvede la spingono ad aiutarlo, a salvarlo, ad amarlo. Così come non solo lui vuole essere salvato, benché non possa confessarlo nemmeno a sé stesso, ma è pronto a tutto per questa donna che gli si offre anima e cuore. Alla medesima maniera lui rappresenta quel senso dell’avventura, quell’arditezza e quella passionalità che l’eroina, come noi lettrici in fondo, tiene nascosta dentro di sé e teme di far uscire allo scoperto per non incorrere nel biasimo della società. Infatti la lotta della protagonista in questi romanzi è doppia, contro le difficoltà esterne ed il mondo che vuol tenerla separata dal suo amore da una parte, e contro quelle interiori dell’eroe che prima di cedere al sentimento, lotterà strenuamente per rimanere attaccato alla sua parte oscura. Ma quando l’amore trionferà, sarà perciò un doppio trionfo per l’eroina e tanto più importante in quanto è stato così sofferto.
Non credo esista un’altra tipologia di eroe così potente nel romance e più in generale in letteratura, un uomo che soffre è incredibilmente attraente per la protagonista e per la lettrice, sia perché tutti abbiamo esperienze negative alle spalle, nonché una nascosta parte buia, e questo ci permette di identificarci ed essere vicine a questa figura, ma anche perché la conquista del lieto fine rappresenta, ad un certo livello, il messaggio che il suo successo possa essere anche il nostro. Senza contare che chi ha la capacità di provare così tanto dolore, possiede anche la stessa capacità di provare un profondo piacere ed un amore intensissimo, il che è assolutamente seducente. La maturità, la complessità e la generosità di questo eroe, che ci fanno perdonare i suoi molti difetti, sono veramente sexy e l’essenza stessa del romance a mio avviso, è per lui che ci batte il cuore, è per lui che smaniamo è lui quello che vorremmo essere se fossimo maschi, ci beviamo le sue lacrime ed il suo dolore come suggessimo del nettare, è da lui che vorremmo essere sottomesse ed a cui vorremmo abbandonarci in una lieta e femminea resa, umano vampiro o licantropo che sia. Lui quello che ci fa sentire completamente donne e che tocca la nostra anima. Al suo confronto, gli altri semplicemente scompaiono.


martedì 17 novembre 2009

RECENSIONE LA MUSICA DELLA NOTTE (The music of the night) di Lydia Joyce


Prima edizione: 2005 by Signet Eclipse

Edito in Italia da: Mondadori, I Romanzi no.885, Novembre 2009

Ambientazione: Italia, 1874 circa

Livello di sensualità: hot (bollente)

Voto: 8/10

Collegamenti ad altri romanzi: secondo volume della serie Night (perchè è la notte a fare da filo conduttore di tutti i racconti) così composta:
1. IL VELO DELLA NOTTE (The Veil of Night) – protagonisti Byron Stratford, Duca di Raeburn, e Victoria Wakefield – potete trovare le nostre note sul romanzo qui
2. LA MUSICA DELLA NOTTE (The Music of the Night) – protagonisti Sebastian Grimsthorpe, Lord Wortham, e Sarah Connolly
3. Whispers of the Night – protagonisti Dumitru Constantinescu, conte di Severinor, e Alcyone Carter
4. Voices of the Night – protagonisti Charles Crossham, Lord Edgington, e Maggie di King Street
5. Shadows of the Night – protagonisti Colin Radcliffe e Fern Ashcroft.



Sebastian Grimsthorpe aspetta nell'ombra di una bottega che la sua preda si avvicini. Non si trova a Venezia per caso, né ha abbandonato la natia Inghilterra assumendo l'identità del ricco argentino senor Guerra per un capriccio, ma al fine di ottenere giustizia per la sua giovanissima figlia illegittima. La legge in patria, viziata da interessi e pregiudizi, gli è stata avversa, lasciando a piede libero colui che un tempo gli era amico ed ora è il suo peggior nemico: Bertrand de Lint, annoiato, ricco, viziato e vizioso libertino, che per appagare le sue basse voglie ha violato una ragazza innocente. Mentre lo osserva avvicinarsi all'attracco con l'imbarcazione, la rabbia per il torto subito si mescola all'incredulità per la faccia tosta di de Lint che ha proclamato al mondo di essere stato in realtà sedotto dalla piccola Adela, gettando quindi discredito sulla povera vittima e su Sebastian stesso, pessimo padre, all'aspettativa per l'inizio del complicato piano che ha concepito. Questa volta, Bertrand non potrà fuggire e dovrà pagare per le sue colpe. Ma non appena de Lint sbarca, non è da lui che lo sguardo Grimstorpe è attratto, né dalle sue nipoti e cugine che l'accompagnano in questo viaggio nella Serenissima, ma da una donna piccola, esile e chiaramente di condizione poco elevata. Un paio di occhi meravigliosi incrocia i suoi e per un attimo il tempo sembra fermarsi, non c’è più un “prima” od un “dopo” ma solo un “ora”, non più angosce e preoccupazioni ma solo il piacere del momento. Poi l’incantesimo si rompe e Sebastian si rende conto delle evidenti benché non troppo marcate cicatrici da vaiolo che marchiano il suo viso e del fatto che ella sia legata in qualche modo a de Lint, visto che lui la sta aiutando a scendere a terra. Un’amante probabilmente, si dice Sebastian ed immediatamente, anche spinto da un improvviso quanto intenso desiderio, modifica i suoi piani per includerla ed umiliare ulteriormente Bertrand.
Sarah Connolly fissa lo sconosciuto seminascosto nel palazzo di fronte al pontile ed il cuore accelera i battiti, il calore le invade corpo e cuore, facendola sentire per un istante lungo un’eternità, bella, desiderabile e piena di vita, non la povera sfigurata, sola e negletta che è. Pur ringraziando il cielo di aver insperatamente trovato quell’impiego come dama di compagnia di Lady Merrill, la presenza di suo figlio le ricorda che è solo un’inferiore pronta per essere preda, senza potersi difendere, degli istinti del suo padrone, non è che una donna ed una serva, il suo destino segnato, le aspettative per il futuro poche. Eppure le è bastato sentirsi osservata da quello sconosciuto per immaginare e sognare una vita diversa, per sperare in un miracolo, per illudersi che anche a lei, almeno una volta, la fortuna potrebbe arridere. Nonostante sappia che è una follia, farà di tutto per aggrapparsi a questa fioca luce nel buio dei suoi giorni, correrà rischi assurdi per conoscere anche piccole briciole di gioia, per sentire la vita riempirla anche se per poco tempo. Costi quello che costi, è pronta a pagarne il prezzo, che sarà invero alto, come lo sarà anche per Sebastian, così alto che le loro esistenze non saranno più le stesse.

Avrei voluto recensire un altro libro oggi, ma dopo aver letto questo mi è stato impossibile. Avevo letto e molto apprezzato il precedente
Il velo della notte, ma questo secondo romanzo di Lydia Joyce è stata una piacevole d inaspettata sorpresa. Scritto con perizia ed eleganza, rivela uno stile più maturo ed una maggiore sicurezza dell’autrice nei suoi mezzi espressivi, tanto da potersi dedicare in scioltezza alla storia ed personaggi, mentre ne Il velo della notte, si avvertiva una maggiore concentrazione sull’estetica della scrittura.
La trama, per quanto non originalissima, è talmente intensa da catturare immediatamente l’attenzione del lettore e mantenere alto il ritmo fino alle ultime pagine, a cui si giunge senza quasi rendersi conto di averle letteralmente divorate. Perché sin dal primo capitolo anche noi, come Sarah, siamo preda di una magia e ci troviamo completamente immerse nella vicenda. Sarah e Sebastian sono due figure contraddittorie, tormentate e sofferenti anche se per motivi molto differenti, che si incontrano quando non dovrebbero e come due ladri nella notte, provano a rubare uno scampolo di felicità. La Joyce è bravissima nel farci entrare dentro l’animo alquanto buio dei suoi personaggi, nel farci provare i loro patemi, nel permetterci si scorgere i lampi di possibile salvezza che appaiono loro davanti e che per essere abbracciati richiedono però sacrificio e fatica. Assisteremo alla crescita di Sarah e Sebastian con trepidazione e partecipazione, ci commuoveremo per le loro traversie e festeggeremo con loro il lieto fine, soddisfatti per una lettura densa e non scontata, quando sarebbe stato molto più semplice essere superficiali e poco profondi, oppure virare al melodrammatico come sovente fanno diverse scrittrici, sollecitando e sfruttando una risposta emotiva coatta. Ma Lydia Joyce si accosta alla sua coppia di eroi con rispetto, naturalezza e genuino interesse, ci svela la loro natura con delicatezza ma senza nascondere nulla, rendendoli quindi veri ed appassionanti.
Sarah, fragile ed insicura, imparerà ad avere coscienza di sé stessa, ad amarsi ed accettarsi, divenendo da bruco splendida farfalla, Sebastian farà pace con la sua sete inesausta di accettazione, approvazione ed affetto ed imparerà dai suoi errori, trovando la forza di provare ad essere un uomo ed un padre migliore. Il tutto in una storia dove, come nella realtà, non ci sono gli assoluti, ma l’infinità varietà delle mezze tinte e prima di arrivare al mare limpido, bisognerà sguazzare nell’acqua melmosa della laguna di Venezia. Unica nota dolente, a mio avviso, l’essere ricorsa da parte dell’autrice ad alcuni clichees nella figura di Sarah, oltre al fatto che difficilmente una ragazza dalle origini così umili e dalla vita passata nei bassifondi, per quanto abbia poi trascorso alcuni anni a sgrezzarsi, sarebbe stata in grado si raggiungere quel grado di istruzione e quei modi raffinati, tanto da poter passare per una aristocratica. Peccato perdonabile, visti i numerosi altri meriti del romanzo.
Emozionante e convincente, nonché estremamente sensuale, consigliatissimo.


mercoledì 4 novembre 2009

VERGINI O VERE DONNE




Se il Libertino è diventato purtroppo il protagonista incontrastato del romance storico, il suo contraltare è la figura della Vergine. Ovviamente la verosimiglianza storica è a favore delle eroine vergini, poiché nel passato soprattutto nelle classi alte, l’illibatezza era un requisito fondamentale per una donna, la cui perdita veniva appunto chiamata “disonore” e se scoperta portava all’ostracismo della buona società ed alla quasi impossibilità di sposarsi. Questo perché la donna, essere inferiore, era semplicemente un bene ed una merce di scambio, il cui unico valore era quello di essere per l’appunto veramente o presuntamente intatta ed una volta deflorata diveniva rispettivamente avariata, se nubile, e comune se sposata.
Le donne nel passato, con l’eccezione di pochi periodi storici e delle classi più basse, la cui condizione di povertà portava ad una promiscuità coatta, venivano cresciute nella più completa ignoranza della propria anatomia così come di quella maschile, né avevano la più pallida idea di cosa fosse la sessualità, se non mera riproduzione dei cui meccanismi non venivano mai comunque adeguatamente informate. Normalmente i rapporti intimi dei coniugi avvenivano vestiti ed al buio, nel giro di un paio di minuti si esaurivano e difficilmente si svolgevano in una posizione diversa da quella del missionario. Anche dopo quaranta anni di matrimonio, era alquanto improbabile che una moglie conoscesse il corpo o il sesso del marito e viceversa.



Lo scenario del romance capovolge totalmente la realtà e ci propone quello che è il modello che qui ci interessa, questa specie di strano ibrido che è la Vergine letteraria. Proprio questo mese abbiamo due perfetti esempi, a vario titolo, di questa curiosa trasformazione che ha colonizzato così tanti libri da poterli citare per giorni, ovvero le protagoniste di Oceano di passione di Johanna Lindsey e La Spia dello scandalo di Celeste Bradley. Speculari nei loro comportamenti, Gerorgina e Willa sono entrambe giovani, linguacciute, piuttosto immature e superficiali, all’inizio del libro assolutamente inconsapevoli del loro corpo ed inesperte. Salvo trasformarsi in un baleno, non appena conoscono l’eroe, in maliziose ed esperte seduttrici, che non solo non temono il membro maschile, che in teoria dovrebbe essere a loro totalmente sconosciuto, specialmente quando eccitato, ma non hanno remore di nessun tipo, già dalla prima volta hanno orgasmi multipli e folgoranti, la seconda volta conoscono il kamasutra a memoria ed alla terza fanno dichiarare al protagonista libertino (che quindi ha giaciuto con almeno un centinaio di donne per tenerci bassi) che mai hanno provato un piacere simile o conosciuto amante migliore.



Più che da sorridere verrebbe da ridere, per la falsità di questa ricostruzione e per l’evidente ingenuità che questo ritratto femminile sottintende, ovvero quello dell’aderenza ai valori tradizionali e patriarcali, da cui si cerca una modesta quanto illusoria rivincita attraverso la conquista del Libertino. Come già scritto in precedenza, così si sancisce l’assoluta impotenza di queste figure e soprattutto delle donne che vi si identificano. Eppure questa figura risulta tuttora molto amata delle lettrici, lettrici che all’eroe libertino perdonano praticamente ogni perversione ed ogni accoppiamento squallido e mercenario, ma che pretendono dalla protagonista la castità assoluta. Come mai, nel 2009, senza cadere negli eccessi, non si riesce ad accettare una donna che scopra gradualmente e col tempo il proprio corpo e quello del partner, che impari, magari non in cinque minuti, ad apprezzare l’intimità con un uomo, e che arrivi con un passato anch’ella, sentimentale e sessuale all’incontro col protagonista? Perché non può essere lei che insegna ad un partner con meno esperienza, o che quand’anche egli l’abbia, lo dirozza in campo erotico? O ancora, che male c’è in una donna, che esattamente come un uomo, cerca la propria soddisfazione e tiene alla propria indipendenza? Cosa c’è di così spaventoso in una donna che possiede sicurezza e integrità, ma allo stesso tempo oltre all’amore pretende anche il piacere? Siamo sicure che certe sciocche e finte vergini ci rappresentino?