lunedì 15 marzo 2010

RECENSIONE AVATAR


Regia di James Cameron con Sam Worthington (Jack Sully), Zoe Saldana (Neytiri), Sigourney Weaver (Dr. Grace Augustine), Michelle Rodriguez (Trudy Chacon), Shephen Lang (Col.Miles Quaritch).

Nel 2154 una compagnia mineraria terrestre sbarca sul pianeta Pandora per sfruttarne i giacimenti del preziosissimo cristallo unobtanio. Gli abitanti del pianeta, i Na’vi, una popolazione primitiva di umanoidi altri tre metri e dalla pelle azzurra, con tanto di coda, si rifiutano di concedere ai terrestri il diritto di trivellare e si oppongono anche violentemente a tutti i tentativi di penetrare nei loro territori. Così la compagnia appronta un programma scientifico in cui da dna Na’vi combinato assieme a dna umano, si ottengono degli Avatar, ovvero umanoidi creati in laboratorio, manovrabili da un conduttore umano, attraverso un’interfaccia mentale. In questo modo sperano di infiltrarsi all’interno delle tribù Na’vi per spiarli e convincerli, con le buone o con le cattive, a lasciar loro la terra. Jack Sully, marine paralizzato, si rivelerà il migliore di questi conduttori, tanto che non solo entrerà in contatto coi Na’vi, ma diverrà un membro della tribù a tutti gli effetti. Ma innamorandosi della bella figlia del capo tribù Nytiri e conoscendo a fondo la popolazione, comprenderà che gli umani sono malvagi e si unirà alla lotta dei nativi per scacciare i terrestri.




Non c’è molto da aggiungere al riassunto della trama, benché il film duri ben centosessantadue minuti, infatti, la storia è tutta qui, con una sceneggiatura talmente povera e imbarazzante, nonché riciclata da Pocahontas e Balla coi lupi, con un pizzico di Alien e Matrix, che sarebbe stata bocciata anche al primo anno di una qualsiasi scuola di cinema. I personaggi sono unidimensionali, la scrittura abbozzata, i buchi logici enormi, tanto che ho sprecato parecchio tempo a far finta che non esistessero, nonostante il regista tentasse di stordirmi con un profluvio di immagini coloratissime, per proseguire con la visione della pellicola. Irritante, inoltre, la contrapposizione manichea tra i buoni Na’vi, perfetti portatori di ogni virtù (anche se a me sono parsi più una comunità hippie degli anni settanta, difatti ce ne fosse uno che lavora) e i cattivi (ovviamente grezzi, stupidi e ignoranti) brutti sporchi e fetenti, che non permette di identificarsi con i presunti eroi, ma anzi produce ancor maggior distanza, se possibile.


Però tutto questo non conta, perché a Cameron, in questo film, non importa un bel niente né dei personaggi né della trama, che sono totalmente secondarie al suo scopo e in alcuni pezzi sembrano addirittura una zavorra per lui. Se superficialmente pare che il regista faccia una dura critica al colonialismo americano e al dissennato sperpero delle risorse del nostro pianeta, cantando nel contempo un’ode alla natura, ingannevolmente dipinta come buona e saggia, in realtà non è così. Questo è solo fumo negli occhi. La vera guerra, per Cameron, è quella tra le vecchie e nuove tecnologie, tra cinema tradizionale e cinema tecnologico, dove è lampante la sua ideologia: il futuro è nelle nuove tecnologie, dove internet, i cellulari, la televisione e il nuovo cinema sempre più digitale, diverranno un unico medium. Come Pandora, in cui tutto e tutti sono interconnessi. Perché questo rappresentano Pandora e Avatar, il trionfo dell’artificioso sul naturale, della tecnica sull’uomo. Esattamente il contrario quindi, di quanto professato nel finale del film. Cameron ci inonda di immagini belle e suggestive, che denotano un enorme sforzo della squadra di computer grafica, come se queste da sole, potessero sostituirsi alla trama ed alle emozioni che i personaggi non sanno darci, ed in alcuni casi funziona, molti spettatori hanno trascorso la visione in un continuo: ohhhh. Purtroppo, tolta la meraviglia iniziale, resta ben poco e pur rimanendo un film godibile, è lontanissimo dal capolavoro. La parte più efficace rimane la battaglia che conclude la pellicola, dove il regista ritrova l’energia e il dinamismo che lo hanno sempre contraddistinto. I posteri ci diranno se i nostri dubbi sono giustificati, ora come ora mi sento di affermare che Avatar non segna un momento di svolta nella storia del cinema, come lo sono stati per esempio Guerre Stellari e Matrix in passato, capaci davvero di rivoluzionare la sintassi cinematografica. Pur essendo una fan dichiarata di James Cameron e concordando che il cinema è soprattutto immagine, non è tuttavia solo immagine e il cuore di ogni storia sono gli uomini, le donne e i loro sentimenti. Altrimenti non è cinema, ma un bel documentario.

domenica 7 marzo 2010

RECENSIONE LA NOTTE MI APPARTIENE (Lord of Midnight) di Jo Beverley

Prima edizione: 1998 by Topaz

Edito in Italia da: Mondadori, I Romanzi, collana Emozioni no.14, febbraio 2010

Ambientazione: Inghilterra 1100

Livello di sensualità: warm (caldo)

Voto/rating: 8/10

Collegamenti ad altri libri: è il quarto ed ultimo volume della serie Dark Champion così composta
1- IL DOMINATORE (Lord Of My Heart) – protagonisti Aimery de Galliard e Madeleine de la Haute Vironge
2- IL BASTARDO (Dark Champion) – protagonisti FitzRoger di Cleeve e Imogen of Carrisford 
3- LA CONQUISTA PIÙ DIFFICILE (The Shattered Rose) – protagonisti Galeran di Heywood e Jehanne;
4- LA NOTTE MI APPARTIENE (Lord Of Midnight) – protagonisti Renald de Lisle e Claire di Summerbourne



Claire di Summerboune attende trepidante il ritorno del padre Clarence, partito per combattere contro re Henry che questi considera un usurpatore del trono, altrimenti spettante al fratello maggiore Robert di Normandia. Ma Robert di Normandia ha accettato l’oro del fratello e abbandonato, oltre alle sue pretese, anche tutti suoi sostenitori alla loro sorte. Claire è una ragazza istruita, sa leggere, scrivere e far di conto, in un mondo in cui le donne in grado di farlo, al di fuori del clero, sono pochissime. Ma niente la prepara al ritorno del padre in un piovoso pomeriggio: cadavere, avvolto in una coperta di cuoio, legato sul dorso di un cavallo. Peggio ancora, a riportarglielo è il campione del re e nuovo signore, per decreto reale, di Summerbourne: Renald de Lisle. In un attimo l’intera esistenza sua e della sua famiglia cambia. Divengono dei senza terra alla mercé del nuovo padrone, da cui tutte dipende. Rovina o salvezza. E per salvare sé stessa ed i suoi Claire accetterà, anche se di malavoglia, di eseguire l’ordine del sovrano e sposare Renald. Un matrimonio che inizierà coi peggiori auspici ma che presto si trasformerà in qualcos’altro di molto più profondo. Perché Renald, straniero, spietato combattente di professione, senza legami che non siano la fedeltà ai commilitoni e al re, si rivelerà un fortuna per tutti loro. Un signore giusto, equo, con la volontà di costruire e non di distruggere. Ma anche un uomo che cerca un luogo e qualcuno a cui appartenere, anche se non lo sa. Sposando Claire, Renald si imbarcherà nella più difficile battaglia della sua vita, conquistare il cuore della giovane che lo odia in quanto nemico e in quanto assassino del genitore. Uno scontro in cui alla fine, entrambi usciranno vincitori, poiché avranno l’un l’altra.

E’ un peccato che, a quanto pare, Jo Beverley non scriverà più dei romanzi medievali, perché a mio avviso, è assolutamente insuperabile. Medievali fasulli in giro ne circolano parecchi, dove semplicemente ci sono dei personaggi e situazioni totalmente moderni ma con un costume addosso. Qui non è così. La serie Dark Champion, di cui questo è il volume conclusivo, è eccellente e restituisce efficacemente e in maniera veritiera un’epoca piuttosto buia, ma densa di avvenimenti. Dai dettagli al quadro generale, dai protagonisti ai personaggi secondari, tutto è credibilissimo e approfondito; sembra che una mano ci rapisca e ci trascini magicamente lontano nel tempo, facendoci entrare nella mentalità degli uomini e delle donne dell’epoca. Nonostante il libro non sia certo corto, si giunge alla fine soddisfatti per la bella cavalcata nella storia e per le emozioni non scontate che si sono vissute, anche grazie allo stile magistrale dell’autrice.
Renald e Claire sono due splendidi protagonisti, forti e passionali, ma interiormente fragili: lei perché non si è mai dovuta confrontare con le difficoltà della vita, lui perché ne ha viste e passate troppe. In qualche modo è come se le loro anime fossero vergini, quella di Claire deve ancora essere riempita, quella di Renald si sta inaridendo. La Beverley li segue durante il loro innamoramento, che non sarà immediato, ma avverrà dopo un certo periodo e in maniera sofferta, procedendo di pari passi con la loro crescita interiore, senza cercare scorciatoie, Claire capirà e perdonerà Renald, prima di accettarlo completamente. Così come Renald imparerà a perdonare sé stesso ed andare avanti con un esistenza che gli mette sul cammino un dono preziosissimo, quando non se lo aspettava più. Questo, credo sia uno dei pregi del libro, presentare l’amore come un regalo che spesso arriva quando non lo si cerca e non lo si attende, ma che richiede sacrifici personali, dedizione e soprattutto la disponibilità interiore. Se sappiamo essere aperti, ecco, allora può arrivare e riportare un raggio di sole nelle giornate uggiose a cui oramai ci siamo abituati e che ci hanno intorpidito lo spirito. Unico neo, la scrittrice sceglie troppo spesso il punto di vista di Claire e vediamo troppo poco la vicenda dal punto di vista di Renald, per cui alcune sue motivazioni ci vengono dette, ma purtroppo non illustrate. Emozionante e coinvolgente, consigliato anche a chi non ama né i medievali né la Beverley