lunedì 17 maggio 2010

RECENSIONE TRUE BLOOD LA SERIE

                       


In un futuro non ben precisato, i vampiri e gli umani possono convivere pacificamente, grazie ad un'invenzione rivoluzionaria di una ditta farmaceutica giapponese, che produce uno speciale tipo di sangue sintetico, il True Blood, in grado di soddisfare i bisogni fisiologici dei vampiri. Ormai sono due anni che vampiri e umani vivono gli uni accanto agli altri, pur se con difficoltà e contrasti. A Bon Temps, una piccola e tranquilla cittadina della Louisiana abitano Sookie Stackhouse (Anna Paquin), una cameriera che ha il dono di leggere i pensieri della gente, la nonna Adele (Lois Smith), il fratello Jason (Ryan Kwanten) e la migliore amica di Sookie, Tara (Rutina Wesley) con la madre alcolizzata ed il cugino gay Lafayette Reynolds (Nelsan Ellis), spacciatore e prostituto part time. Una notte, al Merlott’s, il locale di proprietà di Sam Merlotte (Sam Trammell) in cui Sookie lavora, questa incontra Bill Compton (Stephen Moyer), un vampiro di centosettantatre anni originario di Bon Temps, tornato a casa dopo parecchi anni. Tra i due nasce immediatamente un legame amoroso che li porta a dover lottare contro i pregiudizi degli amici e dei cittadini di Bon Temps.

                               

Con queste premesse, ovvero una storia intrigante tratta dalla saga di Charlaine Harris, i numerosi premi vinti e le ottime critiche ricevute in patria, mi sono accinta alla visione di questa serie con la migliore disposizione d'animo. E male me ne ha incolto! Se cercate un amore romantico, qui ne troverete solo un’ombra. Se vi aspettate una bella storia di vampiri, lasciate perdere. Se ritenete che la trama debba avere un minimo di coerenza, girate al largo. Se invece desiderate una sequela strabordante di scene violente e splatter, di continue ed assolutamente gratuite scene di nudo (etero e gay), e di copule in varie, spesso assurde posizioni, avete trovato il serial che fa per voi. Il creatore e produttore della serie Alan Ball, già padre della serie Six Feet Under, nonché premio Oscar per American Beauty, mira in alto, ad un livello metaforico addirittura. Attraverso i libri della Harris, vorrebbe presentarci uno spaccato della provincia americana contemporanea: un luogo desolato, privo di cultura, gretto, pettegolo, arrivista e volgare, dove a parte il denaro, non ci sono altri valori, tantomeno solidarietà sociale. Dove i diversi continuano ad essere discriminati, sia che abbiano la pelle nera, siano telepatici, o che siano cattolici, o che abbiano dei lunghi canini ed il pregiudizio regna sovrano ovunque. Peccato che questa scoperta analogia tra i diversi di ieri (neri, cattolici, ebrei, gay) e quelli di oggi (vampiri, telepati, mutaforma etc.) non vada oltre qualche battuta, e si perda nella palude di una trama mal congegnata, piena di inutili diversioni e di un affastellamento di stimoli violenti e sessuali, che non hanno altro scopo che scandalizzare e far parlare di sé. Direi anche che servono a coprire una mancanza di sostanza piuttosto evidente, poiché i personaggi sono i primi a soffrire di questo pressapochismo e sembrano quasi tutti, con poche eccezioni, degli schizofrenici. La protagonista Sookie, una Anna Paquin ipersmorfiosa, ne è un perfetto esempio: un attimo adora il suo Bill, quello dopo l’abbandona o se la fa con Sam, da sempre innamorato di lei; per non parlare del fratello Jason, costamtemente allupato, la cui unica occupazione è far sesso con chiunque, ubriacarsi e drogarsi, possibilmente in contemporanea, o della nera Tara, arrabbiata perenne, che va cianciando dei danni dello schiavismo e aggredisce il mondo, per poi lamentarsi di essere sola. Il problema, nonostante le velleità intellettuali di questo serial e di Ball, è che se intendevano ammaliarci con una storia appassionante sui vampiri, (triviali, depravati e disgustosi come il resto della popolazione umana) la quantità industriale di stupefacenti, pettorali, peni e sederi, non serve allo scopo, idem se si cercava di proporre un telefilm dai forti contenuti sociali. I problemi della gente sono ben altri, in America come in Europa, e qui non vengono nemmeno lontanamente scalfiti.
                                         

Non abbiamo la favola, non abbiamo il sogno, non abbiamo nemmeno la riflessione, a mio avviso una debacle totale. In questo squallore e vuoto generale, si salva solo il bello e bravo Sthephen Moyer, seducente e convincente vampiro, che da buon inglese, porta un po’ di fascino e classe nel dipingere Bill, donando un minimo di soddisfazione a noi amanti dei succhiasangue. Tuttavia, amiche mie, c’è una sola vera ragione per sorbirsi la prima ed anche la seconda serie di True Blood: si chiama Alexander Skarsgård, l’interprete dello sceriffo vampiro Eric Northman, un metro e novantatré di vichinga bellezza. Ammirate, ragazze, ammirate, ma shhhhhhhhh, non ditelo ai vostri uomini …
                                           




giovedì 6 maggio 2010

RECENSIONE LA BELLA ADDORMENTATA (Sleeping Beauty) di Judith Ivory

Prima edizione: 1998 by Avon Books


Edito in Italia da: Mondadori, I Romanzi Emozioni no.15, marzo 2010

Ambientazione: Inghilterra 1870 circa

Livello di sensualità: hot (bollente)

Voto/rating: 7,5/10





James Stoker è giovane, bello, intrepido e ambizioso. Ha trascorso gli ultimi tre anni come capo geologo di una spedizione in Africa, da cui, unico sopravvissuto, ha riportato in Patria montagne di manufatti d’oro che gli hanno garantito laute prebende, cariche prestigiose ed addirittura una baronia. La vita gli sorride e lui se ne gode ogni momento, soprattutto da quando è stato vicinissimo a perderla. Ha praticamente tutto, il mondo è nella sua mano e vorrebbe assaporare qualche nuovo piacere, come intrecciare una liason con una donna in grado di sconvolgerlo, oltre che di eccitarlo. Un incontro fortuito, dal dentista, darà corpo a questa sua fantasia nella persona di Coco Wild, che ben presto egli scoprirà essere stata una famosissima cortigiana, compagna di nomi altisonanti del gotha europeo. Nonostante lei lo scoraggi in ogni modo, sottolineando i quasi otto anni che li dividono, come anche il fatto che accostare il proprio nome al suo lo danneggerebbe in quella che è una brillante carriera agli inizi, James non demorde e si mette in testa di averla, in un modo o nell’altro. Coco dal canto suo, non è animata solo da nobili intenzioni nell’evitare di rovinare il giovane, ma pure da un sano egoismo, ormai ricca ed indipendente infatti, non vuole rischiare di infatuarsi di James, da cui è fortemente attratta, e perdere un equilibrio faticosamente conquistato. Decide quindi di mettere la più grande distanza possibile tra di loro. Il destino, tuttavia, ci metterà lo zampino e li farà incontrare nuovamente, costringendoli ad affrontare un territorio ben più inesplorato e pericoloso del centro Africa, ovvero quello dell’amore.


Ogni volta che debbo recensire un libro di Judith Ivory mi trovo in grande difficoltà. Non sono poi molte le scrittrici che possono vantare una prosa così raffinata ed elegante, così musicale e densa di significati da rivaleggiare tranquillamente con la grande letteratura, con una capacità di sintesi che non tralascia mai una varietà descrittiva entusiasmante. I suoi eroi, inoltre, sono sempre interessanti, complessi, arguti, seducenti, mascolini, forti e pieni di dinamismo, come lo è James in questo romanzo. Non è difficile amarlo, trascinati dalla sua voglia di vivere, pienamente e completamente, in una società repressiva di cui prima faceva parte ed a cui si uniformava, ma in cui ora, dopo tante esperienze drammatiche con paesi e culture lontane, non si riconosce più. Per lui Coco non è meno esotica di una tribù sub-sahariana, così diversa dalle sue connazionali, così libera, così sensuale, un frutto succoso da gustare. Ma Coco è anche colta, intelligente e divertente, né una scialba debuttante, né un’ipocrita e fredda dama del ton che cerca un’avventura sordida. E James, che si ritiene un uomo fatto, ma in campo erotico e sentimentale è ancora uno scolaretto, viene rapito dalla prospettiva di intrattenere una relazione con una donna di tal fatta, capace di garantirgli sensazioni forti, senza intrappolarlo in un unione. Qui, però, inizia l’inghippo, poiché è evidente che James è colpito da Coco fin nel profondo e che non si accontenterà mai di un semplice legame carnale. Peggio ancora quando passiamo ad esaminare l’affascinante Coco, colei che dovrebbe esser degna di tanta devozione e del prezzo piuttosto pesante che James dovrà pagare per vivere con lei allo scoperto. La perfezione fisica e la capacità dialettica non sono sufficienti, a mio avviso, a giustificare né la passione sfrenata, né l’amore duraturo che James proverebbe per lei. Mai in tutto il romanzo, se si eccettua un accenno di lato materno, Coco mostra qualche dote dell’anima che la renda amabile, simpatica, commovente. La sua presunta paura d’amare è poco toccante e troppo ragionata per risultare nulla più che un espediente narrativo. Non ci viene nemmeno fornita una qualche spiegazione per la sua scelta di vita che, onestamente, al lettore era dovuta. Alla fine non conosciamo granché Coco e quello che conosciamo di lei non è esattamente esaltante. Da qui nasce il mio imbarazzo a cui accennavo sopra, nel leggere un libro esteticamente delizioso, ma carente di immedesimazione, perché come è abituale, le eroine della Ivory sono tutte, immancabilmente, odiose e Coco non fa eccezione, al di là della sua professione. L’autrice inoltre, osserva dall’alto i suoi personaggi senza entrare veramente nella loro pelle. Molto lucidamente per carità e con un acume raro, ma un poco più di emozione non avrebbe guastato. Per il resto il romanzo segue l’impostazione classica di tutti i libri della scrittrice: incontro dei due senza che l’uno sappia esattamente chi è l’altro, notte di passione infuocata, presa di distanza ed abbandono il giorno dopo per riassumere i rispettivi ruoli, lento riavvicinamento con lui che insegue strenuamente lei. Non importa che lei sia una cocotte e lui un uomo più giovane, questi son particolari secondari di uno schema già risaputo. Peccato, perché secondo me ne avrebbe guadagnato la trama se questi fossero stati approfonditi, ma così non è. E’ una lettura di qualità e di sostanza anche se non molto coinvolgente, comunque consigliata perché la Ivory ha un grandissimo talento.