domenica 26 luglio 2009

RECENSIONE IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON (The curious case of Benjamin Button) 2008


Regia di David Fincher con Brad Pitt (Benjamin Button) Cate Blanchett (Daisy Fueller) Julia Ormond (Caroline) Taraji P. Henson (Queenie)

New Orleans, 1918, la città è in festa per la fine della Grande Guerra. Monsieur Gateau talentuoso costruttore di orologi cieco, ha perso in battaglia il suo unico figlio. Non ha pianto lacrime che fossero visibili ma il suo dolore è grande. Prima di scomparire per sempre, decide di terminare quella che è la sua commissione più importante, un enorme cronografo per la stazione centrale, a modo suo. Le sue lancette infatti segneranno si il tempo, ma all’indietro, perché forse così, afferma, coloro che abbiamo perso potranno tornare da noi.

Thomas Button si affretta verso casa, sua moglie sta partorendo il loro primogenito è lui è pieno di entusiasmo. Ma ad accoglierlo troverà una casa silenziosa, un letto zuppo di sangue, una moglie alle soglie del trapasso. Il bambino è nato, è vivo, ma è mostruoso. Non può essere suo figlio. Non può. E’ uno scherzo della natura, una vergogna da coprire, un problema da eliminare. Thomas non ci pensa su nemmeno un attimo, non terrà quell’essere deforme. Vorrebbe annegarlo nel fiume, ma la presenza di un poliziotto glielo impedisce, così lo abbandonerà davanti ad una casa di riposo per anziani, dove lo troverà la capo inserviente di colore Queenie, che nonostante non sia sposata, non guadagni granché ed abiti nel sottoscala dell’edificio, avrà il cuore abbastanza grande per accogliere, salvare ed amare quel neonato repellente, rugoso ad artritico come un novantenne.

Inizia così uno dei film più belli dell’anno, stabilendo da subito il tono del racconto, che non vuol essere se non in minima parte agganciato alla realtà, ma per il resto si situa nel favolistico, in una terra di mezzo tra Forrest Gump ed Il favoloso mondo di Amélié. Come per i film fantastici, anche qui è necessaria una sospensione del giudizio per potersi godere appieno la storia e lasciarsi trasportare da essa. Non cercate verosimiglianza od assenza di incongruenze, che pure ci sono e numerose, non è una commedia, un documentario od una pellicola di denuncia, ma cinema allo stato puro: ovvero sogno ed emozione. Lasciate i pregiudizi a casa (non mi piace Brad Pitt, è troppo lungo, è ambientato nel passato, è un’americanata) ed abbandonatevi alla magia. L’incanto di una regia forte ed avvolgente, di una fotografia meravigliosa e sapiente che cambia con il variare dei periodi storici, passando dal bianco e nero, al seppia, al technicolor, alla saturazione tendente all’ocra degli anni sessanta e del superotto, a quella a luce quasi naturale degli anni settanta, alla mancanza di contrasto degli anni ottanta, per approdare alla luce fredda e virata al grigio dei giorni nostri, in un virtuosismo che coinvolge tutti gli altri reparti. Musica, scenografia, costumi, suono, trucco ed effetti speciali sono di un livello altissimo come lo sono tutti gli interpreti, dai comprimari ai protagonisti, con menzione particolare per la strepitosa Taraji P. Henson nei panni di Queenie e per la radiosa ed intensa Cate Balchett nei panni di Daisy, l’amore della vita di Benjamin. Come gli ingranaggi dell’orologio di Monsieur Gateau, anche qui tutto concorre al risultato finale, che se in alcune singole parti può mostrare pecche, (come la sceneggiatura che ricorda troppo il succitato Forrest Gump discostandosi moltissimo dall’omonimo racconto di Francis Scott Fitzgerald da cui è tratta) nell’insieme si armonizza e ci consegna un’opera lirica, struggente ed affascinante.
E’ difficile non partecipare alla vita di questo bambino, alla sua scoperta della vita partendo dall’assenza di speranze per approdare alla meraviglia della conquista giornaliera di ciò che gli altri danno per scontato, come poter camminare con le proprie gambe, essere autosufficienti, uscire di casa, riuscire lavorare, scoprire l’amore, quello fisico e quello spirituale, sapendo al contrario di tutti gli altri, quale sarà la propria fine. E mantenere l’animo puro ed aperto, alle persone come all’esistenza, per quanti colpi duri essa possa infliggerci.

Certamente la prima metà del film, incentrata su Benjamin, è la più riuscita, si rimane avvinti dalle immagini in maniera quasi ipnotica e ci si sente catturarti nel profondo senza comprenderne totalmente il motivo. Poi la trama si sposta sulla storia sentimentale tra i protagonisti, cambiando leggermente registro. Benjamin e Daisy si innamoreranno da bambini e riusciranno, dopo molte traversie ed esperienze, a vivere appieno questo sentimento solo ormai adulti e per un breve momento. Ma non è questo il miglior ritratto dell’amore che il film ci regala. Pitt e Blanchett sono bellissimi, levigati, perfettamente accoppiati ed adeguatamente appassionati nei loro incontri della maturità, poi per loro il tempo inizierà a scorrere diacronicamente. Solo allora, quando entrambi saranno vecchi, anche se in maniera fisicamente opposta, assisteremo ad alcune tra le più commoventi e vivide rappresentazioni dell’amore che mi sia mai capitato di vedere sul grande schermo, varrebbero da sole tutto il film.
David Fincher, innovatore, disturbatore, amante dei toni cupi e dei disadattati, sorprendentemente dirige una pellicola in maniera classica eppure personale, raggiungendo una maturità che promette futuri capolavori e che diversamente dalle sue precedenti opere non propone soluzioni ma pone quesiti.
Quesiti probabilmente sgradevoli in un mondo dominato da una parte da dogmi ed ideologie (anche in campo cinematografico) dall’altro da un individualismo sfrenato e da un culto di una irraggiungibile perfezione fisica sotto cui si cela il niente ed il terrore della morte. La bruttezza o una qualsiasi deformità o difformità rendono un essere umano indegno ed immeritevole di essere accolto nella società e di essere amato? Perché la società non vuole farsene carico come non vuole farsi carico degli anziani, trasformando di fatto tutte queste persone in invisibili ed indesiderabili? Davvero i legami di sangue sono quelli più forti o l'esser genitori non ha nulla a che fare con la semplice biologia e tutto con il desiderio di accoglienza? Perché non sono accettabili gli inevitabili segni dell’invecchiamento? Perché non si può mostrare che l’amore è anche rinuncia al proprio egocentrismo e parzialmente rinuncia all’io, per passare al noi? Cosa o chi dà significato al nostro vivere?
A ciascuno di noi trovare, se c’interessa, la risposta a queste domande, proposte più con la potenza delle immagini che con quella delle parole, che onestamente qui sono di importanza alquanto relativa. E come le immagini, restano dentro di noi, a lungo. Impossibile uscire dalla visione di questo film senza aver provato nulla, non importa a quali mezzi gli autori siano ricorsi, fatto sta che hanno colpito il nostro cuore e toccato il nostro spirito. A me sembra un risultato enorme.

RECENSIONE SOGNANDO TE( Dreaming of you) di Lisa Kleypas


Prima edizione: 2004 by Avon Books

Edito in Italia da: Mondadori, collana Oscar Bestseller, aprile 2008, seconda edizione collana Emozioni febbraio 2009

Ambientazione: 1820 circa

Grado di sensualità: hot/bollente

Voto/rating : 9/10

Collegamenti con altri romanzi : è il secondo romanzo della serie detta dei "Giocatori" (Gamblers), dopo "Then Came you", inedito in Italia.


Sara Fielding ha un aspetto banale, si veste in maniera banale e conduce una vita apparentemente banale in un anonimo paesetto della campagna inglese. Ma in quel piccolo cottage, al riparo nella sua stanza, Sara ribolle delle storie che vorrebbe raccontare a quel mondo che tutto sommato conosce ben poco, se non attraverso la fantasia. Una fantasia galoppante ed una passione irrefrenabile che l'hanno condotta ad intraprendere la carriera di scrittrice, nonostante la disapprovazione iniziale della famiglia. Ma le storie dentro di lei non possono attendere, vogliono essere narrate e non accettano ostacoli sul loro cammino: né la paura dell'ignoto né la miriade di difficoltà che dovrebbe affrontare una ragazza ingenua ed inesperta che decidesse di confrontarsi col vizio. E quale miglior antro di vizi di Londra, o meglio una casa da gioco, quindi di malaffare, a Londra? Con sprezzo del pericolo e molta incoscienza, nonché assoluta ignoranza, la giovane parte alla volta della capitale e si introduce più o meno illecitamente in quella che ne è la più famosa casa da gioco, incontrandone il proprietario, colui che controlla ogni tipo di traffico losco della città: Derek Craven. Lo splendido, seducente, affascinante spietato Derek. A quel punto per Sara tutto passa in secondo piano: le ricerche per il nuovo romanzo, il desiderio di indipendenza e quello di conoscere la vita di città in tutti i suoi aspetti, anche quelli più sordidi. Sono solo scuse per rimanere accanto ad un uomo da cui è rimasta letteralmente folgorata e che è rimasto a sua volta folgorato da lei, ma che per quanto delinquente non lo è abbastanza per approfittare di un' innocente. Derek la scoraggia in ogni maniera, la spaventa, la provoca cerca di disgustarla e nel frattempo soffre come un cane, si infuria, si macera, si abbruttisce con l'alcool. Eppure Sara non cede e per conquistarlo si trasformerà in un'altra donna, una donna sensuale ed intrepida, una donna da sogno, quella dei sogni di Derek. Chi non ha mai letto un libro di Lisa Kleypas non dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di conoscerla cominciando da questo, chi già la apprezza, ma ha mancato la precedente pubblicazione di questo romanzo, dovrebbe rimediare, chi non se l’è lasciato sfuggire un anno fa, dovrebbe rileggerselo. Perché qui ci sono tutti gli elementi che fanno della Kleypas una grande scrittrice: la capacità di catturare immediatamente l’attenzione del lettore e di mantenerla viva sino alla fine, l’alchimia sempre forte e realistica che riesce a creare tra i due protagonisti in poche righe e che ci fa arrivare intensa ed intera, l’ottima caratterizzazione di tutti i personaggi, dai principali ai minori, le sue descrizioni assolutamente cinematografiche, per cui a volte si ha la netta impressione di star guardando un film, la partecipazione emotiva che riesce sempre ad ottenere anche dal lettore più riottoso, la naturalezza dell’eccitazione che le sue scene d’amore non mancano mai di suscitare. La Kleypas usa consapevolmente degli stereotipi e delle storie già sfruttate, a cui però infonde nuova vita ed una nuova credibile direzione. Sara è allo stesso tempo il prototipo della giovane vergine, inconsapevole della sue attrattive e della sua femminilità ma anche il simbolo della purezza, , così come Derek è si il prototipo della canaglia, del maschio prepotente, dominatore e disonesto e proprio per questo desiderabile, ma anche il simbolo della depravazione. Il vizio e la virtù si attraggono incessantemente ed inevitabilmente; Derek vede in Sara quella pulizia morale, quel cuore incontaminato, quell’animo cristallino che lui non ha mai nemmeno potuto sognare di avere, perché non è che un rifiuto della società, un orfano senza nome e senza età, che ha fatto letteralmente di tutto per sopravvivere. La sua disperazione e la sua volontà di fuggire da quella innominabile miseria, sono state così profonde e totali che non si è fermato di fronte a nulla. Ma ora, a paragone di Sara, si sente vecchio, vecchio e sporco e vorrebbe recuperare quella parte innocente sepolta da sempre. Sara invece, vede di Derek non solo la parte positiva, coraggiosa e per lei eroica, ma anche tutta una messe di esperienze che le sono state e sempre le saranno precluse, nella sua esistenza modesta ma protetta, l’audacia di seguire i propri desideri senza troppi scrupoli, l’appagamento della soddisfazione dei propri appetiti, qualunque essi siano. Attraverso di lui, le sembra di poter assaggiare tutto un universo proibito che la spaventa e nel contempo la attrae, nonché di poter recitare anch’ella una parte eroica salvandolo da sé stesso e di crescere per diventare da ragazzina immatura a donna. Derek e Sara sono il perfetto contraltare l’uno dell’altra e poco importa che nella realtà una coppia del genere sarebbe disastrosa, nella finzione funzionano meravigliosamente. Perché anche chi, come me, non ama affatto i cattivi ragazzi, non potrà che essere sedotta da Derek Craven, dalla sua sofferenza, dalla sua solidità, dalla sua forza, dalla sua sensualità. Lisa Kleypas sa bene che le donne amano vestire i panni delle crocerossine, che adorano il sacrificio e che sono disposte a patire molto per un uomo che le incanta e le fa sentire delle regine, soprattutto in certi momenti. Come Sara istintivamente percepisce che Derek può far sbocciare la sua femminilità anche noi capiamo che Derek è il tipo di cavaliere in scintillante armatura che in fondo vorremmo: prima ci salva dal drago, poi ci regala il mondo ed infine ci porta in paradiso coi suoi baci (ed il resto…). Resistere si può? Io non credo ed anche se si potesse perché farlo? Divertiamoci, commuoviamoci, sospiriamo ed alla fine soccombiamo a Derek ed alla maestria della Kleypas, con un unico avvertimento: dà dipendenza!


sabato 25 luglio 2009

RECENSIONE PROMESSE (Uncommon Vows) di Mary Jo Putney




Prima pubblicazione anno: 1991 by Onyx


Pubblicato in Italia da: Mondadori, I Romanzi Big no.839, dicembre 2008


Livello di sensualità: Warm (caldo)


Ambientazione: Medievale


Voto: 7-/10

Può uno sguardo penetrare nel cuore? Può uno sguardo rapire l’anima? Adrian de Lancey se lo domanda dopo aver incontrato quello della giovane novizia Meriel de Vere e preferisce non aver risposta. Lui è un cavaliere che passa da una battaglia all’altra e lei una fanciulla votata a Dio. Meglio dimenticare. Trascorrono sei anni e di nuovo il destino fa incrociare i loro cammini, Meriel alla fine non ha preso i voti e si trova accidentalmente nei possedimenti di Adrian, dove viene scambiata per una cacciatrice di frodo. Meriel, temendo rappresaglie, preferisce non dichiarare la propria identità di nobile Normanna ed essere scambiata per una serva, visto che suo fratello appoggia la fazione avversa ad Adrian,ora conte di Shropshire. Ma Adrian, benché non la riconosca immediatamente, è di nuovo in balia del suo sguardo e non riesce a liberarsi di quello che gli appare come un sortilegio. Comincia così la storia di un desiderio intenso e contrastato che si trasformerà in ossessione, quando la ragazza rifiuterà tutte le sue avances e dichiarerà di preferire la morte alla sottomissione della sua volontà. Sarà un lotta feroce ed estenuante quasi come sul campo di battaglia per Adrian, che porrà in secondo piano i suoi doveri e la guerra civile che sta infuriando in Inghilterra, per gli occhi di Meriel , quegli occhi che rifiutano di ricambiarlo ma da cui lui non riesce a distaccarsi.

Il Medioevo inglese è spesso usato come ambientazione di romances storici, ma con risultati alquanto scarsi, visto che abbondano gli anacronismi e l’incapacità a ritrarre verosimilmente ambienti, situazioni e personaggi. La Putney invece ci presenta uno splendido affresco dell’anno mille, facendoci credere di stare effettivamente vivendo in quel periodo e non di stare guardando dei contemporanei travestiti da antichi. Il suo è quasi un romanzo intimista, perché benché non manchino i riferimenti esteriori, il racconto si concentra sui conflitti interiori dei due protagonisti, sui loro desideri confessati e su quelli inconfessabili, sul primato o meno del dovere sulla volontà individuale, sugli scrupoli della coscienza. Ecco, la coscienza: è la terza protagonista di questo libro, una protagonista forse ingombrate per il sentire contemporaneo, che si fa beffe di essa come di qualsivoglia scrupolo, relegandolo all’archeologia. Adrian e Meriel invece debbono rispondere alla loro coscienza, formatasi su una severa educazione religiosa, come era naturale e consueto all’epoca, ma che per loro è anche più forte in quanto entrambi sono stati vicinissimi a prendere i voti.
Adrian vorrebbe essere più forte dei suoi appetiti per il sangue e per la carne, ma come non può liberarsi del tutto dal piacere della battaglia, così non riesce a rifiutare il piacere del corpo della donna. Meriel invece teme profondamente di poter anche solo immaginare di abbandonarsi a quelli che per lei non sono che impulsi del demonio per allontanarla dal Cristo. Ma la paura non può fermare il fluire della passione: entra nei pori della pelle, scorre nel sangue, si respira con l’aria nei polmoni, batte con le pulsazioni del nostro cuore. Arrendervisi non sarà facile per nessuno dei due.
Il sentimento Cristiano di entrambi è vivissimo e profondo, l’amore per Gesù è così vero che è assolutamente toccante; è da molto tempo che non leggevo in un romanzo una tale sincera e forte atmosfera religiosa e mai mi era capitato in un romance, dove purtroppo, a discapito di qualunque realtà storica oggettiva, l’elemento della Fede non compare quasi mai e tutti sembrano allegramente o pigramente agnostici. Invece il Cristianesimo e la vita religiosa in generale, sono stati per millenni il centro della vita sociale e privata del mondo, solo negli ultimi trent’anni si è passati nel mondo occidentale, ad una secolarizzazione diffusa, quindi tanto di cappello alla Putney per aver saputo ricreare un tal universo, con perizia ed onestà. Non è necessario essere credenti per apprezzare un racconto del genere, anzi. La scena in cui Adrian risolve la propria lotta interiore e può finalmente pregare col cuore leggero, è una delle più intense che abbia letto, sentire quasi, come lui, la Grazia attraversarci sarebbe un bel regalo. Inoltre, il senso del peccato è la base della contrapposizione, quindi del cardine di ogni tipo di letteratura e qui è espresso molto chiaramente, divenendo un punto di forza del romanzo.
Altro punto forte è il meraviglioso protagonista Adrian: freddo e bollente, saggio ed imprudente, sicuro ma tormentato, umile ma anche volitivo, ci si innamora di lui quasi istantaneamente e si vorrebbe non lasciarlo, nonché vederlo accoppiato ad un’eroina di pari livello. Purtroppo invece Meriel risulta semplicemente essere una ragazzina, testarda, limitata ed oltremodo incapace di ammettere di essere in torto. Non comprendiamo perché Adrian debba essere così follemente innamorato di lei, visto che non porta alcun segno di eccezionalità. Peggio ancora, l’espediente utilizzato dall’autrice per giustificare il cambiamento della donzella, non solo risulta troppo macchinoso e poco credibile, ma non fa che aumentare la limpida percezione del divario tra i due. Un eroe di tale levatura è destinato ad essere perdente quando la sua amata è troppo mediocre, così come tutta la storia sfortunatamente si sfalda dopo una prima parte talmente ben riuscita e palpitante che non si riesce ad interrompere la lettura. Un inizio folgorante che non mantiene le promesse del titolo, un romanzo dalla doppia personalità come la sua protagonista: eccellente e passabile. Peccato, un’occasione sprecata, fermo restando che la Putney scrive come suo solito, con grande stile, eleganza e padronanza dei vari elementi della narrazione, ma quello che poteva essere un nove diviene un sette non pieno.


martedì 21 luglio 2009

RECENSIONE THE DUCHESS (2008)










Regia di Saul Dibb con Keira Knightely, Ralph Fiennes, Charlotte Rampling)

Lady Georgiana Spencer ha tutto: è giovane, bella, ricca, nobile e corteggiata. Meglio ancora: è promessa in sposa a William Cavendish, duca di Devonshire, il suo futuro è radioso come una giornata di primavera. Difatti il duca è bello, affascinante e molto attratto da lei. Ma non la ama, perlomeno non come lei vorrebbe. Ci sono altre donne, ci sono momenti non propriamente d'oro. Georgiana, tra un ricevimento, una scampagnata ed una passeggiata a cavallo comincia pensare che la sua vita non sia poi così soddisfacente, non riesce a dare al marito il sospirato erede, come è suo dovere e lui si arrabbia, la allontana e si allontana. Georgiana prima si dispera, poi cerca di uscire da una situazione per lei umiliante, diventando qualcosa di diverso da quanto tutti si aspettano da lei Comincia ad acconciarsi, a vestirsi e parlare con un proprio stile, ad attirare l'attenzione su di sé per le sue idee e per il suo spirito mordace, nonché per il suo flirtare spudorato. Cercherà di trovare un proprio senso ed inseguirà il proprio piacere, imitando l'esempio del marito, che le ha imposto in casa come amante addirittura quelle che Georgiana riteneva la sua migliore amica, Elizabeth Foster. E non si fermerà qui. Farà apertamente campagna per i Whig, esponendosi pubblicamente e finendo per innamorarsi di un membro di spicco del partito Charles Grey. Ma il prezzo da pagare sarà alto, da tutti i punti di vista.

Splendide dimore, panorami favolosi, bellissimi costumi: questo è quello che rimane soprattutto della visione di questo film. D'altronde gli inglesi sono maestri nelle ricostruzioni storiche e nello scrupolo con cui lo fanno. Ci sono momenti in cui si è abbacinati da tanta magnificienza e per qualche secondo si perde anche la cognizione di essere nel ventesimo secolo, peccato che sia per l'appunto solo per qualche secondo. Purtroppo gli sceneggiatori sembrano preoccupati di mostrarci Georgiana come una ragazza moderna, una suffragetta ante litteram, una radicale, inserendo battute e situazioni un poco anacronistiche e spingendo troppo sulla parte romantica, ritenendo così di renderla più appetibile al pubblico di oggi, mentre non fanno altro che rendercela più aliena, proprio perchè non spiegandoci il suo contesto e la società in cui era nata non ci permettono di conoscerla, capirla ed entrare veramente in contatto con lei. A riprova di ciò è la scelta della bella Keira Knightely come protagonista, i suoi tratti, la sua estrema magrezza, la sua mimica sono assolutamente contemporanei, le anoressiche col viso da modelle non erano certamente in auge nel diciottesimo secolo, ma sono un must ai giorni nostri. La Knightely ci tiene molto ad affermarsi come attrice drammatica e si impegna a fondo in questo ruolo, che le sembra essere stato cucito addosso per meglio farla brillare e ci offre probabilmente la sua migliore prova recitativa. Eppure sembra spesso essere in “costume” anziché essere Georgiana, la vediamo osservarsi nel ruolo anziché abbandonarsi ad esso ed alla fine il personaggio ci elude come i motivi della sua sofferenza e delle sua scelte a volte dissennate. Fortunatamente sull'ottimo Ralph Fiennes si può sempre contare, la sua prova è brillante, convincente e coinvolgente e non è facile per la Knightely rubargli la scena, benché ci provi spesso.
Charlotte Rampling, che interpreta la madre di Georgiana, sembra spaesata, nonostante sia una brava attrice non riesce a rendere né il periodo storico, né la coscienza aristocratica di Lady Spencer. I comprimari sono tutti professionali, senza particolari menzioni come d'altronde lo è la regia: semplicemente corretta. Saul Bibb non si segnala come dotato di personalità o capacità autoriale, tant'è che le inquadrature più rimarchevoli sembrano copiate di peso da Marie Antoniette della Coppola, senza però la notevole visione artistica di quest'ultima. Dibb filma senza approfondire né le psicologie né il dramma, perdendo peraltro diversi spunti contenuti nella trama e ci consegna una preziosa, brillante, sontuosa confezione che avrebbe voluto farsi melodramma ma non ci riesce. Piacevole, interessante in taluni punti e dimenticabile.
Ma chi era in realtà la duchessa di Devonshire? Una figlia del suo tempo, vanitosa, seducente, inquieta, ambiziosa, affamata di attenzione ed affetto al limite dell'ingenuità, ma anche promiscua, alcolizzata, giocatrice d'azzardo patologica, irresponsabile, labile e generosa. Il suo ruolo sociale le andava stretto come quello familiare, voleva brillare per sé stessa e non come "moglie di", non accettava di essere semplicemente una fattrice né di non poter esprimere in pubblico le sue idee politiche, poiché alle donne era permesso occuparsi di tali faccende in ambito strettamente privato e solo se erano nobili. Georgiana invece si spendeva continuamente e nella maniera più pubblica possibile per il partito Whig, raccogliendo fondi, consensi e voti, (qualcuno disse anche in cambio dei suoi favori). Era una specie di diva dell'epoca, conosciuta in tutti gli ambienti, per la sua bellezza ma anche per il suo comportamento eccentrico, desiderata ed amata da alcuni ma derisa da altri, tanto che il famoso commediografo Richard Sheridan scrisse una satira incentrata su di lei ed il marito intitolata
The school of scandal, alla rappresentazione della quale Georgiana fu peraltro presente, facendo buon viso a cattivo gioco. Se fosse stata una borghese od una donna del popolo sarebbe finita internata, ma come aristocratica fu tollerata.
La sua instabilità e dipendenza emotiva dal marito la portarono a sopportare per anni un menagè a trois con la ex migliore amica Elizabeth Foster ed accettare che tutti i loro figli (spesso concepiti in contemporanea perchè il duca era generoso delle sue grazie) crescessero insieme. Ebbe un' aperta e molto contrastata relazione adulterina col conte Charles Gray, da cui nacque una figlia, che non le regalò però serenità. Il pesante contraltare furono l'alcolismo, il consumo di droghe ed una passione compulsiva per il gioco d'azzardo che la ridussero praticamente sul lastrico.
Un personaggio affascinante ed indimenticabile che ha attraversato il tempo, molte eroine anche di romance si ispirano a lei direttamente od indirettamente, un esempio è
Nel segno dei gemelli di Virginia Henley, tanto per citarne uno.
Per chi volesse saperne di più la Rizzoli ha da poco tradotto la biografia a lei dedicata da Amanda Foreman, da cui è tratto il film. Un libro notevole dal punto di vista accademico e molto doumentato, forse con una parte centrale troppo estesa riguardante lo scontro tra Tory e Whig di non semplice comprensione per chi non abbia una precedente preparazione sull'argomento. Ma ha il merito di restituirci una figura a tutto tondo di una donna straordinaria e di mostraci che in diverse epoche ci sono state donne che non si sono completamente sottomesse ed hanno lottato in un modo o nell'altro per la loro individulità e per il diritto ad averla ed ad esprimersi.

lunedì 20 luglio 2009

RECENSIONE L'INDIPENDENZA DELLA SIGNORINA BENNET(The indipendence of Miss Mary Bennet) di Colleen McCullogh


Prima edizione anno: 2008 by Simon and Shuster (USA) Harper and Collins (UK)
Edito in Italia da: Rizzoli, pp.445
Traduzione di: Roberta Zuppet
Formato: hardcover/ brossura
Livello di sensualità: subtle/ sottile
Ambientazione: regency
Voto/rating: 8/10

Temerariamente la McCullogh decide di continuare Orgoglio e Pregiudizio, riprendendo la storia vent’anni dopo la sua conclusione, con le sorelle Bennet ormai quarantenni e con una vita molto diversa da quella che avevano sognato. Mary in particolare, la sorella meno bella e brillante, dopo una vita dedicata ad assistere l’anziana ed insopportabile madre, decide che è giunto il momento di crearsi un’esistenza a propria misura e di rivendicare un’indipendenza che da giovane non si era permessa nemmeno di sognare. Le sue decisioni porteranno conseguenze inaspettate e grandi e necessari cambiamenti in tutta la famiglia. Con uno stile che è solamente suo ma anche in qualche modo rispettoso di quello della Austen, la McCulloch ci trasporta letteralmente dentro la storia, in una maniera decisamente più viscerale di quella della Austen, facendoci vivere e palpitare coi suoi personaggi, accompagnandoci ed accompagnandoli nella loro crescita ed evoluzione. Questi non sono più i ragazzi dell’edizione originale, ma uomini e donne che devono ormai fare dei bilanci, spesso negativi o deficitarii. Il romanzo in tutta la prima parte è pervaso da una sottile malinconia, quella dei sogni infranti e delle aspettative deluse, di quello che avrebbe potuto essere e non è stato, delle occasioni perdute. Mary, piccolo bruco che diverrà splendida farfalla, sarà la prima a voler cambiare prima che sia troppo tardi e dare un senso alla sua esistenza e gli altri saranno costretti a seguirla loro malgrado, a guardarsi dentro ed affrontare il rimosso. Proprio per questo mi sono di nuovo innamorata di Elizabeth e Darcy, sono sempre loro eppure sono diversi, più maturi, invecchiati, ma anche più profondi. Mi è parso come di ritrovare dei vecchi amici, che mi hanno divertita e commossa al tempo stesso.
Collen McCullogh è una grande scrittrice e non teme, giustamente, accuse di infedeltà. Lo spirito della Austen qui vi è intero, la sua sagacia, il suo acuto senso di osservazione, la sua sotterranea ribellione alla condizione della donna ed il desiderio di modificare una realtà ingrata e difficile. Certo la McCullogh si spinge ancor più avanti, illustrandoci le miserie oltre che della condizione femminile anche di quelle dei ceti meno abbienti e dei proletari, nonché la disperazione di chi sa alla nascita di essere condannato per non essere capitato nel giusto ambiente. Si ride, si piange e soprattutto si pensa, come la cara Jane avrebbe voluto. Alla fine si chiude il volume contenti ed un poco tristi, si vorrebbe rimanere in compagnia di tanti bei personaggi, Darcy ed il figlio più degli altri, chissà che la scrittrice non ci conceda un bis.

domenica 19 luglio 2009

RECENSIONE TWILIGHT (2008)




Regia di Catherine Hardwicke con Kristen Stewart (Bella Swan) Robert Pattinson (Edward Cullen) Billy Burke (Charlie Swan) Peter Facinelli (Carlisle Cullen)

Portare sullo schermo un libro è di per sé un'operazione difficile, poiché si tratta di due linguaggi differenti che obbediscono a regole a volte opposte; il tutto diviene ancor più difficile se il libro in questione non solo è un successo planetario, ma un fenomeno di costume cresciuto col passaparola. Come non deludere le aspettative, in questo caso enormi, anche a giudicare dalla difficoltà di reperire i biglietti per il cinema? Dall'America ci giunge la notizia dell'eccezionale incasso di venerdì scorso, la prima giornata, ben trentatrè milioni di dollari, il che significa che con la prima giornata di programmazione è già stato ripagato il costo del film. Sicuramente anche l'Italia si avvia a seguire l'esempio statunitense da quanto ho potuto vedere; ma a ragione?

Il film si apre con una panoramica su una splendida foresta nordica, la vegetazione così fitta che i raggi del sole riescono a malapena a filtrare, una leggera nebbia che copre a tratti il terreno e le mosse di una cerva che si avvia ad un ruscello per bere. Seguiamo il suo breve tragitto e la osserviamo prima abbeverarsi poi improvvisamente irrigidirsi, le narici frementi, gli occhi in cerca di quello che l'ha speventata. Poi, fulminea, inizia la fuga che la condurrà alla morte: il suo silenzioso e virtualmente invisibile inseguitore è il predatore più letale che esista. Dissolvenza e siamo a Phoenix, per ossevare la partenza della giovane Bella Swan, un brava ed ispirata Kristen Stewart, per la piovosa e brumosa Forks, dove si trasferirà a casa del padre. Fedelmente al libro, (con qualche piccola libertà: cast multietnico in luogo dell' all-wasp della Meyer, robusta dose di ironia e cameo dell'autrice stessa) accompagniamo la ragazza nel suo cercare di abituarsi alla nuova e per lei profondamente estranea realtà di provincia, fino a quando non entrano in scena i fratelli Cullen, in particolare Edward Cullen e qui la pellicola prende vita. L'ingresso al ralenty di Robert Pattinson con tanto di scambio di sguardi assassini tra lui e la Stewart è una delle scene migliori del film, i due insieme fanno letteralmente scintille, l'alchimia è reale, l'attrazione palpabile. Il corteggiamento contrastato e difficoltoso, vista la loro differente natura, fa crescere anche se lentamente la tensione della storia, che sembrerebbe poter o dover esplodere, ma non lo fa mai e si inceppa irrimediabilmente, anche a causa di effetti speciali palesementi scadenti per l'eseguità del budget a disposizione, quando con l'arrivo dei vampiri cattivi, inizia la parte più d'azione della trama. A questo punto ci si affretta in maniera poco convincente verso il finale, tra scene che dovrebbero essere se non paurose perlomeno inquietanti, e non lo sono, e combattimenti che non mostrano alcuna originalità, ma paiono pessime copie di quelli televisivi stile Buffy L'Ammazzavampiri. Quella che era una carta vincente del libro, ovvero la fusione quasi spontanea del reale col soprannaturale, qui non riesce affatto, come manca la carica di sofferenza di entrambi i protagonisti, qui appena accennata. In luogo della complessità troviamo una semplificazione di situazioni e stati d'animo che non giova alla partecipazione emotiva, quasi assenti il livello simbolico e metaforico della figura del vampiro... Eppure la regista Catherine Hardwicke è brava ed avvezza a raccontare gli adolescenti, nel suo esordio con Thirteen, co-sceneggiato ed interpretato dalla figliastra Nikki Reed, presente anche in Twiligt nel ruolo di Rosalie Cullen, ci aveva coinvolti con una storia forte ed emozionante. In Twilight la macchina da presa sta letteralmente addosso agli attori, con l'uso quasi esclusivo di primi o primissimi piani, alternati a campi lunghi nelle scene all'aperto, come a voler scavare nei visi perché dicano ciò che la sceneggiatura non è chiaramente in grado di dire. Gli attori si prestano con generosità, in particolare i due protagonisti, veri ed intensi, anche quando pronunciano battute non all'altezza. Se Kristen Stewart sembra letteralmente uscita dalle pagine del romanzo, per Robert Pattinson, almeno fisicamente, non sarebbe stato così, invece fin dalla prima inquadratura lui è uno strepitoso Edward Cullen. Tormentato, sensuale e dark, (o “goth” come dicono gli inglesi), talmente in parte da sovrapporsi e sostituirsi completamente all'Edward del libro. Non si riesce a staccargli gli occhi di dosso, col suo colorito pallido e le labbra rosse, a metà tra Robert Smith ed un altro Edward, quello con le mani di forbice dell'omonimo capolavoro di Tim Burton che, per inciso, forse sarebbe stato il più adatto a narrare un racconto di “mostri” e “diversi”, come è in parte Twilight.


Si perchè qui ci sono due filoni che si intersecano per un attimo ma poi continuano a scorrere parallelamente, la commedia giovanilistica e romantica ed il film di vampiri, alla fine il film non è nessuno dei due, manca di un' identità precisa, come se la Hardwicke ad un dato momento non fosse stata più in grado di padroneggaire tutti i fili della trama o non fosse molto convinta di ciò che stava facendo. Credo che per paura di scontentare il pubblico siano state fatte scelte poche coraggiose ed è un peccato, perchè se ci si fosse concentrati sulla parte sentimentale-adolescenziale ne sarebbe risultata un'ottima pellicola. Fare film incentrati sui vampiri è un'opera ardua riuscita a pochi, tanto il vampiro è seducente sulla carta, tanto è al limite del grottesco sul grande schermo. Negli anni più recenti a parte l'ottimo, ma non per tutti, Dracula di Coppola, anche Neil Jordan con Intervista col vampiro si è incagliato su un altro capolavoro, quello di Anne Rice.
Ma qua e là affiorano sprazzi dell'altro film che avrebbe potuto essere: una natura quasi incontaminata meravigliosamente fotografata da Elliot Davis, immagini virate sui toni del grigio-azzurro e del verde desaturando gli altri colori per meglio rendere l'atmosfera plumbea di Forks, una scalata ad un albero gigantesco da cui si guarda la baia, il primo bacio tra Edward e Bella, una scena fortemente erotica in un film castissimo, e la mia preferita, il sogno in cui Bella si vede come una damigella dei primi del novecento, abbandonata su un chaise longue, gli occhi chiusi, le chiome sparse, in fremente attesa di Edward che affonda i canini nel suo collo, per la gioia di entrambi, e che infine si volge verso di noi con la bocca da cui cola un rivolo di sangue. Nonostante l'evidente mancanza della profondità del romanzo, i fans saranno probabilmente contenti, gli altri invece non capiranno il motivo di tanto clamore. Nel complesso un film di medio livello, piacevole senza la capacità di conquistare davvero, con l'eccezione di Robert Pattinson, lui rimane dentro, come il suo personaggio e rimarrà, è il nuovo Di Caprio, ma in versione più virile e meno angelicata.

RECENSIONE TWILIGHTdi Stephanie Meyer




Categoria: Young Adults, paranormale



Prima pubblicazione anno: 2005 Megan Tingley Books



Edizione Italiana: 2006 Fazi editore, collana Lain



Traduzione di Luca Fusari



Pagine: 412 pp.



Ambientazione: contemporanea



Livello di sensualità: kisses (solo baci)



Voto: 10/10

La diciassettene Bella Swann, dopo il nuovo matrimonio della madre, si trasferisce dalla assolata Phoenix alla piovosa Forks per vivere con il padre. Bella è una ragazza sensibile, maldestra, introversa e fin troppo razionale, non si è mai inserita tra i suoi coetanei e non è mai stata corteggiata, il suo umore è grigio come il colore del cielo di Forks. Inaspettatamente però, sin dal primo giorno nella nuova scuola riscuote interesse e successo, anche per le sue doti di studentessa. Bella è stupita e parzialmente lusingata, ma anche turbata perché l'unica persona da cui avrebbe voluto ricevere attenzioni, le mostra prima disprezzo e poi passa ad ignorarla. Lui è Edward, uno dei cinque fratelli Cullen che frequentano le superiori, talmente belli, eleganti e talentuosi da essere in effetti emarginati: c'è chi li invidia, c'è chi ne è intimorito, col risultato che nessuno li avvicina. Nessuno tranne Bella. La giovane si sente attratta da loro, da Edward in particolare, come una calamita e più lui la ignora più lei lo desidera. Non è solo la sua incredibile bellezza ad attrarla o la sua palese indifferenza all'ostracismo che circonda lui ed i suoi fratelli e sorelle, ma soprattutto la sua unicità, una diversità che Bella percepisce speculare alla sua. Un giorno, dopo che una nevicata ha ghiacciato il manto stradale, Bella rischia di essere investita da un compagno nel parcheggio della scuola. In quelli che crede essere i suoi ultimi istanti di vita, cerca con lo sguardo Edward che si trova a circa duecento metri da lei e la fissa con orrore e che nello spazio di un respiro si sposterà al suo fianco riuscendo a salvare entrambi ed il ragazzo alla guida dell'auto fuori controllo. Allucinazione dovuta allo shock? Nonostante Edward cerchi di convincerla che si è trattato di semplice fortuna e che nulla di eccezionale è successo, Bella crede in ciò che ha visto, ovvero un ragazzo che si è mosso alla velocità della luce e che con la schiena con cui le faceva scudo ha fermato una macchina in corsa, facendone rientare la portiera, senza riportare un graffio. Impossibile. Inumano. Chi sono davvero i Cullen e chi è Edward ? E' forse una creatura con poteri sovrannaturali? Lui nega lei insiste. Lei si arrabbia perchè non vuole essere trattata da stupida, lui la mette in guardia dai pericoli che corre se si incaponisce a voler sapere. Inizia a questo punto un gioco di richieste e di ammissioni tra i due, che li porterà fatalmente ad avvicinarsi, a conoscersi intimamente ed a far aumentare sempre più quella che è una fortissima ed inevitabile attrazione reciproca. La verità verrà svelata e metterà i due giovani di fronte a scelte difficili ma anche in pericolo la vita di Bella e dei suoi familiari. Confesso che comprai questo libro con notevole diffidenza e mi convinsi a leggerlo dopo diversi mesi, gli improvvisi e planetari successi commerciali sono spesso ottime operazioni di marketing su un prodotto di scarsa o media qualità, ma non è questo il caso. Certamente l'autrice e la sua casa editrice hanno scelto con intelligenza il pubblico giovanile a cui rivolgersi principalmente e gli elementi horror-fantasy del racconto per attirarli, ma non sono questi a mio avviso i punti forti di Twilight. Chi è appassionato di storie di vampiri, troverà che i Cullen ed i loro confratelli sono una pallida (mai termine fu più giusto) ed edulcorata versione dei bevitori di sangue che da anni tengono banco in libreria, quindi chi cerca una storia horror rimarrà forse deluso. Questo è un romanzo di formazione, ovvero la storia del passaggio dall'adolescenza all'età adulta di due giovani, un'umana ed un vampiro. Tutti siamo stati adoloscenti e molti si ricordano il senso di inadeguatezza ed il contemporaneo e duplice desiderio di essere accettati ma anche di essere unici che si vive in quegli anni di grandi cambiamenti fisici e psichici. La Meyer dipinge un affresco dai colori vivi e cangianti e non ha paura di andare controcorrente. Ci presenta un'eroina imperfetta ma profondamente interessante che non teme la sua diversità, anche se ne soffre silenziosamente e che riesce a sedurre il più bello della scuola, volendolo fortissimamente, rischiando e pagando in prima persona. In una società che fa del cinismo il suo vanto e che spinge sempre più i giovani al nichilismo e ad una dissipazione sempre più precoce e vuota, l'autrice ci regala il ritratto di ragazzi educati, rispettosi, che non bevono, non fumano, non si drogano, usano poco il cellulare e si divertono con gite, escursioni e festicciole semplici. Lo straordinario successo di questa saga parte da questo, da milioni di adolescenti che hanno visto un altro modo di essere, oltre la massificazione, dove le insicurezze e le peculiarità individuali sono ricchezza e non motivo di derisione, dove anche chi non è canonicamente attraente può conquistare il proprio amato. Edward e Bella sono entrambi dei disadattati ciascuno a proprio modo, nell'incontrarsi e nell'innamorarsi trovano non solo il superamento della loro condizione ma anche la chiave della loro crescita spirituale ed una ragione di vita. E questa è l'altra carta vincente del romanzo, la forza dei sentimenti ed il coraggio di abbandonarvisi totalmente e senza remore, perchè l'amore non guarda alla razza, alla nazionalità, alla religione od alla convenienza. Siamo sommersi da racconti di cronaca e da libri in cui la fa da padrone il sesso più sfrenato e le perversioni che gli fanno da corollario, mentre la Meyer riporta alla ribalta il primo amore, fatto di tremori e timidezze, ma anche di assoluto. Evidentemente siamo in tanti a voler ancora sognare e desiderare e questa capacità che è propria della gioventù, ma che sembra debba sparire sempre prima sostituita da un eccessivo realismo, emerge con forza dalle pagine del libro. Amare è pericoloso e rischioso, così come sognare, ma solo amando si diventa persone complete e la vita diviene degna di essere vissuta e ci nutre di emozioni e sensazioni. L'autrice fa passare un messaggio tanto importante con assoluta levità e senza voler impartire lezioni morali, usando gli elementi favolistici del suo racconto per meglio veicolarlo, con uno stile letterario nitido e diretto , ma non semplicistico che cattura fin dall'incipit. Una volta iniziata la lettura è difficilissimo riuscire a interromperla, come se le parole fossero ipnotiche e questo è il segno della levatura artistica della Meyer. Questo è un esordio folgorante, vedremo se sarà capace in futuro di mantenere le aspettative misurandosi con altri soggetti più adulti, per ora non possiamo che rimanere incantati ed ammirati, consigliando Twilight a tutti coloro che amano la lettura.

NELLA NOTTE

Non dovrei ma scrivere dopo che sono calate le tenebre. Di notte le parole diventano false, inquietanti eppure è di notte che queste hanno più potere.
Shahrazad scelse la notte per tessere le sue mille e una storia. Lei conosceva il potere delle parole.
Ha gli occhi della notte, cammina a piedi scalzi, arrogante e pagana, libera da vincoli di moralità e modestia. Ed è astuta: gioca spesso la partita contro la morte e vince, ogni notte reinventa sè stessa.
Questa sera sono io Shahrazad.